Arcata dei Ferri. balaustrata
Su basamenti quadrangolari plurimodanati scolpiti con satiri, putti e leoni marini, si levano due lesene intagliate (nella facciata esterna) e altre piu' strette sotto la cornice d'imposta dell'arco, egualmente scolpiti, così come i capitelli (dei quali uno è finito di tutto punto e l'altro appena sbozzato) e il fregio della trabeazione che sormonta l'arco, decorato nell'interno a grafito veneziano bianco su fondo nero, come pure i due triangoli, e il fragio interno. Ai lati della trabeazione i simboli degli evangelisti: l'aquila e il leone alato. Ricca la decorazione scolpita: tralci e girali floreali, figure fantastiche che sorgono da un fiore o dalle quali si dipartono racemi con ricche volute, candelabre con delfini, coppe, vasi da cui pendono scudi e cauli di acanto
- OGGETTO balaustrata di cappella
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ATTRIBUZIONI
Bianchi Giacomo (notizie 1515/ 1560)
- LOCALIZZAZIONE Forlì (FC)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Nel 1536 la cappella dedicata al "Corpus Domini" costruita nel 1515 dall'architetto Cristoforo Bezzi, fu fatta chiudere con una balaustra, detta "Arcata dei Ferri", realizzata dallo scultore Jacopo Bianchi, il quale la firmò e datò. Firmò come "Jacopo Veneto" (per questo la confusa attribuzione in un primo tempo al Sansovino: 1816, p. 172; 1838, p. 73). Resta tuttavia il dubbio se l'artista, appartenente alla famiglia dei Bianchi, fosse veramente nativo di Venezia (1899, pp.1-8) o piu' precisamente di Dulcigno, come puntualizza il Grigioni in successive ricerche (1915, pp.1-5) basate su ricerche d'archivio e documenti notarili. Dalle stesse risulta con sicurezza che lo scultore si stabilì a Forlì già dal 1515 (poichè vi si trova il 17 aprile, quando si impegna ad eseguire certe sculture per la casa di Pier Giovanni Numai) e vi restò, residente ed attivo, fino al 1536. Probabilmente, dalla commissione del Numai, ricavò un certo prestigio, tanto da ricevere piu' tardi le commissioni per il mausoleo "Zampeschi" a Forlimpopoli e per l'"Arcata" (proprio il riscontro delle somiglianze fra questo e l'"Arcata" dei Ferri permise di arrivare al Bianchi, scardinando l'errata attribuzione al "Sansovino": 1899, pp.65-66). Jacopo Bianchi è, fin dall'inizio del soggiorno romagnolo, un artista maturo -non si registrano infatti con gli anni ragguardevoli evoluzioni stilistiche- e presenta caratteri che attestano l'educazione alla scuola veneziana dei Rombarolo, impermeabile a eventuali influenze romagnole. Attorno al 1535 esegue il dossale marmoreo ora "Sepolcro Baronio". Un ulteriore studio del Grigioni (1923, pp.430-435) evidenzia anche qui le somiglianze con la nostra opera: stessa tipologia e stesse sigle grafiche (basti pensare agli identici simboli iconografici degli evangelisti). L'ultima sua opera pare proprio l'arcata di S. Mercuriale: il capitello rimasto incompiuto, nel 1536, fa pensare alla sopraggiunta morte di Jacopo, o alla sua partenza per altra destinazione (1989, p. 67)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente religioso cattolico
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800033477
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Bologna Ferrara Forli'-Cesena Ravenna e Rimini
- DATA DI COMPILAZIONE 1989
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DATA DI AGGIORNAMENTO
2006
- ISCRIZIONI lato interno, sull'abaco del capitello, la firma - O (PUS) JACH (OBI) VENET (I) - a incisione - latino
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0