Madonna con il bambino in un paesaggio. Madonna con Bambino
dipinto
ca 1530 - ca 1540
Patinir Joachim (cerchia)
1475-1480/ 1524
Il dipinto raffigura la Madonna, seduta di trequarti a destra, con un libro aperto nella mano sinistra e Gesù bambino sulle ginocchia. Sullo sfondo un paesaggio con alberi e architetture
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tavola/ pittura a olio
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ATTRIBUZIONI
Patinir Joachim (cerchia)
- LOCALIZZAZIONE n.d
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Due sbiadite fotografie, una vecchia scheda di catalogo manoscritta, una corposa pratica di furto sono ciò che resta della piccola tavola, rubata nel 1904 e mai più recuperata. La redazione di una nuova scheda di catalogo non potrà quindi che risolversi in un’operazione di riordino documentario, ma diffondere la conoscenza dell’opera perduta appare ancora oggi un atto dovuto e non solo nella remota speranza di un ritorno. La registrazione della donazione da parte dell’abate Giuseppe Venturi, riscontrabile nell’unica nota bibliografica sul dipinto ([Balladoro, Bernasconi] 1865), fu in seguito corretta in un elenco dei doni pubblicato sul giornale «L’Adige» del primo gennaio 1869, dove il dipinto è citato tra le cose legate al Comune di Verona dall’abate Sante Fontana nel 1832. Le notizie successive si concentrano essenzialmente all’inizio del Novecento, all’epoca del furto segnalato dall’allora direttore del Museo civico Pietro Sgulmero in una lunga lettera del 7 novembre 1904 indirizzata all’avvocato Antonio Guglielmi, sindaco di Verona, nella quale venivano riferite estesamente le circostanze della sparizione scoperta tre giorni prima (AMCVr, prot. 835/VI, 7.11.1904). Nel denunciare il fatto, la lettera fornisce informazioni che riassumono la breve fortuna critica del dipinto e danno la misura di quanto esso fosse apprezzato non solo tra i ladri ma anche tra gli studiosi. Poco prima della sparizione il quadro era stato infatti notato da Adolfo Venturi, in visita al Museo all’inizio di ottobre, il quale se n’era «invaghito» e aveva chiesto di averne una fotografia. Nello stesso periodo si erano recati ad ammirare la «Madonnina fiamminga» anche Luigi Simeoni e Luigi Pontiggia, insieme ai quali Sgulmero vide «che la tavoletta era sottoscritta, ma con una firma quasi sparita e di difficile ed incerta lettura», di cui «era abbastanza chiaro, però, il suffisso Van». Infine, il 3 novembre erano stati visti due giovani «tra i venti e venticinque anni, pulitamente vestiti ma alla buona», aggirarsi «timidamente» in Museo con aria circospetta, in tempi – aggiungiamo – in cui il numero giornaliero dei visitatori di un Museo di provincia era decisamente ridotto e non passava inosservato. In quel frangente, Sgulmero e il suo assistente Filippo Nereo Vignola avevano sentito i due ospiti scambiarsi, in dialetto veneto, osservazioni «intelligenti» sulle opere esposte, quali: «Guarda là, Roos come lo si vede subito» (era il Paesaggio con pastori e animali, inv. 4087-1B492), un commento di per sé alquanto sospetto, sapendo che quel genere di opere all’inizio del Novecento era conosciuto prevalentemente sul mercato antiquario. Il dipinto era stato da poco fotografato, per cui come magra consolazione fu possibile stamparne mille riproduzioni su cartolina da diffondere anche all’estero per eventuali segnalazioni. Tra le risposte all’appello della direzione del Museo giunsero le uniche attribuzioni documentate per l’anonima tavoletta. Si fece allora il nome di Rogier van der Weyden, ancorando così il dipinto all’idea ancora confusa che si aveva del Quattrocento fiammingo, ma pure di Herri met de Bles detto Civetta, avendo notato la presenza del volatile-firma dell’artista sul capo della Madonna. L’ambito individuato in questo caso era effettivamente sensato, in quanto l’opera rientra nella vasta casistica del genere biblico-paesaggistico riconducibile alla cerchia di Joachim Patinir, del quale Bles sembra essere stato il principale seguace. Eppure, nella composizione il paesaggio non costituisce l’elemento predominante come avviene nella tipica iconografia patiniriana. La Madonna leggente seduta con in braccio il bambino non è un dettaglio rimpicciolito nel mezzo di una natura sconfinata ma è inquadrata in primissimo piano, a mezza figura. Si conoscono due versioni avvicinabili al soggetto, entrambe disperse tra i meandri del collezionismo privato già al momento della loro pubblicazione da parte di Max Friedländer (1967-1976, IXb, p. 122 nn. 227-227a, pl. 219). La prima, ritenuta dallo studioso autografa di Patinir (asta Goudstikker, Amsterdam, 1920), presenta un modello analogo per la figura del bambino ma si differenzia sia nella fisionomia della Vergine sia nella conformazione del paesaggio di sfondo; la seconda, ritenuta una sua copia (già collezione della contessa Sierstorpff, Eltville), è pressoché identica alla versione veronese ma mostra le figure meno a ridosso del primo piano e quindi una più ampia apertura sulla veduta. Da quanto è intuibile dall'immagine sbiadita, l'esemplare giunto a Verona si allaccia a questi prototipi con una semplificazione formale che fa pensare alla traduzione di un seguace, probabilmente contemporaneo e attivo entro gli anni Trenta del Cinquecento. (da Francesca Rossi 2010, pp. 366-367)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717813
- NUMERO D'INVENTARIO 44110
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0