Pietà della lacrima. Cristo morto con la Madonna e san Giovanni, detto Pietà della lacrima

dipinto 1520-1524

Il dipinto raffigura, al centro, il corpo del Cristo morto seduto sulle gambe della madre e sostenuto a sinistra da san Giovanni

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Caroto Giovanni Francesco (1480 Ca./ 1555)
  • LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La cosiddetta “Pietà della lacrima” costituisce un raro documento nella storia del collezionismo d’arte veronese per aver fatto parte di una delle grandi raccolte storiche cittadine, la galleria Bevilacqua già nel palazzo sanmicheliano sul Corso nella contrada dei Santi Apostoli. La prima menzione del quadro non risale tuttavia ai noti inventari cinquecenteschi della collezione, nei quali figurano comunque altri dipinti di Giovan Francesco Caroto, ma a un commento di Luigi Lanzi, o meglio a una vera e propria stroncatura che si conclude segnalando il fratello Giovanni come più probabile autore del soggetto: «In casa Bevilacqua è una Deposizione […], forme volgari e crudezze che non trovo in quant’altra opera; ma credo […] del Carotto secondo, inferiore al precedente cioè Giovanni», lo «stile è antico, le forme volgari, il colorito crudo, il disegno più lungo che in Mantegna» (Lanzi 1793, ed. 2000, pp. 126, 219-220). A breve distanza, nel 1805 l’opera fu registrata nell’inventario Bevilacqua steso da Saverio Dalla Rosa nell’imminenza della definitiva dispersione della quadreria storica, alla morte dell’ultimo sfortunato testimone del declino finanziario della famiglia, il conte Ernesto (Franzoni 1970, p. 174). Infine, nel 1821 e 1822 ricomparve nella collezione di Francesco Caldana insieme ad altri pezzi già Bevilacqua (cfr. Da Persico 1820; Franzoni 1970; Guzzo 1992-1993, con ipotesi sulla datazione della transazione nel 1805 o entro il 1820). Malgrado il parere di Lanzi, l’autografia del dipinto non è stata messa in discussione. Anzi, proprio la crudezza e l’arcaicità della composizione, allora valutate in negativo, sono parse in seguito sigle stilistiche fondamentali dell’artista a partire dalla sua fase lombarda, entro i primi anni venti. Parte di un certo effetto di indurimento formale è comunque imputabile a un problema di conservazione della materia, già rilevato al momento dell’ingresso al museo del quadro, detto «un po’ deperito nelle velature per aver subito delle puliture e degli sfregamenti troppo forti» (Ferrari 1871, c. 10r). Caroto si dedicò in più occasioni alla rappresentazione del Cristo morto. Nel 1515, il pittore firma e data il monumentale “Compianto su Cristo”, già a Torino in collezione Fontana, riferibile al suo soggiorno a Casale Monferrato (Franco Fiorio 1971, p. 90, n. 29, fig. 17) raffigurante dieci figure piangenti accalcate in primo piano attorno al corpo livido di Gesù. Secondo Francesca Rossi (2020, p. 90), l’interpretazione dell’episodio evangelico sarebbe in sintonia con i coevi modi di Bramantino e Luini, seppur più accentuato in senso espressionistico (si veda il confronto con l’analogo soggetto dipinto da Luini nel 1516 per la Confraternita del Santissimo Sacramento nella chiesa di San Giorgio al Palazzo a Milano; Quattrini 2019, pp. 207-213). Allo stesso tempo, vale il confronto con un altro dipinto del Luini, il “Cristo in pietà con la Vergine, san Giovanni evangelista, le sante Maria Maddalena e Maria di Cleofa e un angelo” databile tra il 1513 e il 1515, seppur infuso di un patetismo meno marcato rispetto alla tela veronese (Houston, Museum of Fine Arts, inv. K 1764; Quattrini 2019, pp. 206-207, n. 47). A questo soggetto si collegano altre redazioni, tra cui una miniatura a olio su tela con la composizione ambientata in un paesaggio (Christ Church, University of Oxford, iv. JBS 78) e una rivisitazione ora alla Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano che riprende su uno sfondo nero da un punto di vista ravvicinato la mezza figura del corpo esanime sorretto da Giovanni evangelista, con la Maddalena in lacrime e la Vergine in preghiera (Franco Fiorio 1997, pp. 283-284, n. 191 datata al 1525). La figura della Madonna dipinta da Caroto ritorna anche nella composizione del “Congedo di Cristo dalla Madre (Verona, cappella Avanzi o Della Croce, chiesa di San Bernardino), opera eseguita con tutta probabilità a breve distanza dalla nostra “Pietà”, tra il 1520 e il rientro a Verona dal Monferrato dopo il 1523. Secondo Rossi, le due opere sarebbero da avvicinare allo stesso periodo stilistico dell’affresco con il “Padre eterno e le sette Virtù” del 1524 (oggi in collezione privata, già a Palazzo Maffei Della Torre a Sant’Egidio) nel quale si riscontrano riflessi lombardi ancora vividi. Il clima psicologico del nostro dipinto è segnato anche da contaminazioni nordiche riconducibili agli schemi delle “Vesperbild” tedesche e delle “Deposizioni” dei quattrocenteschi fiamminghi largamente diffuse in Italia nei primi decenni del Cinquecento, specialmente ad opera della cerchia di Quentin Massys che peraltro non era ignara della cultura leonardesca. (da Francesca Rossi 2010, p. 396)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717793
  • NUMERO D'INVENTARIO 1372
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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