Insegna dell’arte degli straccivendoli. Insegna dell'arte degli straccivendoli
dipinto
1520 - 1520
Il dipinto raffigura l'insegna dell'arte degli straccivendoli e presenta, in basso, un'iscrizione affiancata da due uomini, di cui uno regge un libro. In secondo piano, ai lati della composizione, san Giacomo e un altro santo affiancano un gruppo di quattro uomini. Alle loro spalle, il leone di san Marco con quattro stemmi, una serie di capi di vestiario e un paio di forbici
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a olio
- AMBITO CULTURALE Ambito Veneziano
- LOCALIZZAZIONE n.d
- NOTIZIE STORICO CRITICHE L’iscrizione che compare nella targa al centro del lato inferiore del dipinto, oggi quasi illeggibile ma fedelmente riportata da Vignola (1911) e da Avena (1914), fu evidentemente apposta in occasione del restauro settecentesco e fornisce con esattezza la data di esecuzione dell’opera, oltre ad identificarne la committenza nell’arte degli «Strazzarioli», di cui sono citati anche i gastaldi in carica nei due distinti momenti: Matteo di Bernardino e Antonio Ciprioto. La corporazione in questione era, secondo Avena (1914), quella degli straccivendoli veronesi, detti anche «pezzaroli», posta sotto la protezione di san Martino, le cui pratiche devozionali ebbero come sede dapprima Sant’Eufemia e quindi, dal 1627, San Tomio (Scarcella 1949, pp. 5-6). In realtà gli indizi figurativi inducono piuttosto a decretare una provenienza lagunare della tela, che peraltro, nell’assetto compositivo, con i membri della arte raffigurati fra oggetti che alludono alla loro professione, al di sotto di una tabella con il leone di san Marco affiancato da due coppie di stemmi, ricalca puntualmente la tipologia canonica adottata fino al Settecento inoltrato per le insegne della Serenissima (cfr. Le insegne 1982). Il santo di sinistra, rappresentato con il libro e il bordone, è infatti riconoscibile come san Giacomo, patrono della corporazione veneziana, cui era dedicato un altare nella chiesa dove gli affiliati si radunavano per celebrare le proprie solennità, ovvero San Zulian. A ciò va aggiunto che la parata di capi di vestiario appesi sulla parete di fondo e le due grosse forbici risultano perfettamente coerenti rispetto al tipo di attività svolta dagli «strazaroli» marciani, che erano primariamente venditori di panni, indumenti e stracci vecchi – pur trattando talora anche generi più curiosi, come i vestiti da teatro e quelli «da morto» (Mestieri ed Arti 1986, p. 50, doc. 65) – e appartenevano dunque a una categoria professionale affine a quella dei «revendigoli», i rigattieri, con i quali non a caso condividevano la sede, posta nel sestiere di Santa Croce, al civico 322 di campo Santa Maria Maggiore (Manno 1997, p. 160). Nella medesima direzione conducono infine le indicazioni araldiche, viceversa prive di corrispondenti nell’armoriale veronese (cfr. Morando di Custoza 1976): se i due stemmi di sinistra non consentono di arrivare a identificazioni sicure (il primo, a fasce oro e azzurre, perché comune a più casate, il secondo perché non del tutto leggibile), quelli di sinistra appartengono in effetti a famiglie della nobiltà lagunare, i Vitturi (il palato azzurro e oro) e i Diedo (a campo spaccato oro e azzurro con la banda rossa: Morando di Custoza 1979, nn. 3352 e 1097). All’interno di questo quadro interpretativo, un punto sospeso riguarda il riconoscimento del secondo santo, che tiene fra le mani un libro e un ulteriore attributo di cui si è persa la leggibilità. Tale lacuna rende difficile arrivare a conclusioni sicure, tanto più che per l’arte in questione accanto a Giacomo non risultano documentate altre figure di protettori, a differenza ad esempio di quanto registrato per i Linaioli e i «Libreri da carta bianca e da conti», posti sotto l’assistenza congiunta di Giacomo e Filippo (Manno 1997, pp. 149, 168): va dunque valutata la possibilità che il suo inserimento risponda alla volontà di onorare il patrono particolare di uno dei personaggi raffigurati o, più genericamente, un santo il cui culto risultava connesso all’altare intestato alla corporazione. Confinato nell’anonimato rimane quasi di necessità anche il nome dell’esecutore dell’insegna. Lo stile corsivo e didascalico, il tono convenzionale e aneddotico della scenetta, lasciano infatti credere che si tratti di un maestro minore, la cui produzione si assesta a un livello di poco superiore alla pratica artigianale: il confronto suggerito da Avena (1914) con il frammento di affresco di Castelvecchio raffigurante il leone di San Marco, il doge Leonardo Loredan tra quattro senatori e gli stemmi Gradenigo e Loredan (inv. 4658-1B461; 299-1B454; 298-1B476), già attribuito a Mocetto, ma più verosimilmente mano di un collaboratore (Romano 1985, pp. 92-98, 106), vale in questo caso a evocare una medesima temperie linguistica, ma non aiuta a uscire dall'impasse attributiva. (da Monica Molteni 2010, pp. 420-422)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717767
- NUMERO D'INVENTARIO 1108
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- ISCRIZIONI nella tabella in basso al centro - In tempo de Mattio de Bernardin e compagni Gastaldo / del mestier di Strazzarioli dell’arte nuova, et vecchia / dell’anno 1520, adì 1 Novembrio. / Et fu ristaurata s[oto] M. [Antonio Ciprioto] Gastaldo / [e] compagni [de l’anno] M[DCC]XXIX -
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0