tabernacolo, opera isolata - ambito veneto (XIX-XX secc)

tabernacolo, post 1900 - ante 1972

capitello a sacello in muratura con tetto a due falde e portoncino a due ante in ferro battuto. All'interno altarino addobbato con fiori in plastica e numerose immagini, probabilmente per lo più di defunti; al centro nicchia a cornice lignea protetta da vetro recante immagine su tela di Madonna con il Bambino. Al culmine delle due falde del tetto e nel timpano croce metallica. Al di sopra della porta iscrizione; alla destra della porta, incassata a muro, cassetta per la raccolta delle elemosine

  • OGGETTO tabernacolo
  • MATERIA E TECNICA INTONACO
    LATERIZIO
    LEGNO
    METALLO
  • AMBITO CULTURALE Ambito Veneto
  • LOCALIZZAZIONE Venezia (VE)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE datato dalla critica al secolo XIX (Niero/ Musolino/ Tramontin, 1972, p. 241) il grande sacello in muratura (che in uno scatto datato 1937 e conservato nell'Archivio Positivi della SBEAPVE appare invece come una semplice struttura in legno) si presenta con portoncino in ferro battuto a due ante (offerto dall'officina fabbrile Fagherazzi nel 1968). Secondo Cuman F./ Fabbian P. (1988) tale tipologia di “capitello” (tabernacolo) detta “a sacello”{p. 254 “In via di massima i capitelli veri e propri possono venir raggruppati in tre ordini: capitelli a casetta, quando sporgono completamente dalla parete e sono chiusi con ante fisse o mobili sul davanti; capitelli ad edicola, quando mancano le ante; capitelli a nicchia, quando sono incavati nel muro; capitelli a sacello, quando costituiscono un tempietto vero e proprio, praticabile o no all'interno, in muratura o ligneo. Di codesto ultimo tipo i più numerosi si trovano nel sestiere di Castello […]} è intrisa di significati religiosi (p. 255): “è così evidente la dipendenza dal concetto di Chiesa che in alcuni casi, oltre a stabilirvi sempre un altare fisso, sono collocati la pilella per l’acqua santa, la campanella, magari con campaniletto […]. Si può dire si tratta di una chiesa domestica: tale essa è non solo in quanto è inserita nel tessuto urbanistico di abitazioni popolari, come nel caso di Castello per corte Sarasina o corte Colonne o campiello del Figareto, […]. Essi (abitanti) mantengono a loro spese, ne curano l’addobbo e l’apertura, serve per ricordo dei defunti locali […]. (p. 256) “Se l’edicola determina in parte la realtà sacrale dello spazio, codesta è accentuata di più dal sacello: in questo modo non solo la Chiesa, ma pure l’abitato stesso diventa possesso di Dio: il mondo soprannaturale o trascendente che dir si voglia, si inserisce, si innesta, si unisce con quello naturale, […]; le case e gli uomini si sentono protetti dalla misteriosa forza superiore […]”. Per quanto riguarda l'uso del capitello veneziano pare sia nato verso la prima metà del XII secolo per funzioni di quiete pubblica notturna per placare i continui atti di criminalità affliggenti la città. Di fatti nel 1128, sotto il dogato di Domenico Michiel, si dispose di porre dei "cesendeli", cioè lanterne alimentate a olio, per illuminare le zone più buie e pericolose: “avendosi nei primi tempi, per rendere più sicura la città dagli assassinamenti che succedevano, posto ad ardere per le strade mal sicure alcuni fanali, detti allora 'cesendeli', perché mandavano un chiarore fioco, non dissimile da quello delle lucciole, 'cicendelae' nominate, la pietà dei parroci poneva innanzi ad essi delle immagini di Santi, affinché al loro cospetto si trattenessero i ribaldi dal commettere azioni malvagie. Ecco l'origine di quegli altarini, o 'capitelli', sì frequenti tuttora in Venezia” (Tassini, 1970). Le spese per il pagamento del combustibile per le lampade e per il controllo e la tutela dei "cesendeli" erano a carico dei parroci delle diverse contrade. Successivamente, con l'aumentare dei tabernacoli nella città, per ogni sestiere venne scelto un patrizio sia per la sorveglianza notturna che per la tassazione ai cittadini per il pagamento dell'olio per l’illuminazione. Il tabernacolo si trova inserito in un’area marginale occupata da squeri (cantieri navali) dove le case a schiera di corte Colonne o Schiavona costituiscono un interessante esempio di abitazioni collettive costruite per un preciso fine sociale. Appartenenti all’”Ospitale del Comun” (facevano parte delle duecento case che costituivano gli ospizi delle Procuratie di Citra all’inizio del XVI secolo) erano destinate ad alloggio gratuito di marinai veneziani e di forestieri che si erano resi benemeriti al servizio della Repubblica. Le case della “Marinarezza”, introdotte da due grandi archi risalenti al 1645, si articolano in tre corpi paralleli risalenti al XV secolo e rappresentano uno dei più antichi esempi di edilizia popolare dove le abitazioni sono realizzate “in serie” e si succedono a “schiera” riunite in più isolati formando un unità residenziale omogenea
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà privata
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500641281
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna
  • ISCRIZIONI targa - AVE/ MARIA - a rilievo - latino
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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