Giuramento di Luigi Gonzaga

dipinto murale,

L'opera occupa un'area rettangolare

  • OGGETTO dipinto murale
  • MATERIA E TECNICA intonaco/ pittura a secco
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Complesso Museale di Palazzo Ducale
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Ducale
  • INDIRIZZO Piazza Sordello, 40, Mantova (MN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto rappresenta il giuramento di fedeltà alle leggi cittadine da parte di Luigi Gonzaga, primo capitano del popolo (1328-1360), assistito dal vescovo, da prelati e dignitari. Postosi a capo della congiura cittadina che il 16 agosto 1328 portò alla cacciata da Mantova dei Bonalcolsi, signori della città dal 1272, Luigi fu alcuni giorni dopo quella battaglia acclamato capitano generale e perpetuo della città e del popolo di Mantova dal consiglio del Comune. Il dipinto inaugura il programma di esaltazione della casata anticipato nella sala di Manto, mettendo in scena l'evento con cui ha ufficialmente inizio il dominio dei Gonzaga su Mantova (cfr. Koering 2013, pp. 333-335): sulla piazza di San Pietro è allestito un podio, ricoperto da un tappeto verde; Luigi, seduto, tiene nella sinistra il bastone del comando e poggia la mano destra sugli statuti della città, prestando su di essi il proprio giuramento (cfr. Malacarne 2004, pp. 53 e ss.). Davanti a lui, con toga rossa, è il rappresentante del consiglio comunale, assistito dal vescovo di Mantova, in paramenti dorati; intorno, vi sono membri della famiglia Gonzaga, rappresentanti del Comune – tra i quali si scorgono due araldi alle cui trombe sono appesi stendardi della città – e del clero. In primo piano uomini armati, in riposo, assistono al giuramento, mentre ai lati della scena piccoli gruppi di personaggi animano l'evento, con funzione aneddotica: a sinistra, due suonatori di tamburi giocano alla mora, seduti sui rispettivi strumenti, mentre un cagnolino sottrae loro una bacchetta; tra i soldati, al centro della composizione, è ritratto il nano Frambaldo mentre, all'estremità destra del dipinto, l'enorme braccio appoggiato a un bastone è quanto rimane del gigante Guglielmone da Garfagnana: nano e gigante la cui presenza presso la corte del capitano è testimoniata dalle cronache cittadine. Un prezioso rilievo grafico eseguito da Carlo D'Arco prima del 1857 restituisce la composizione perduta all'estremità destra della scena (Valli 2014, CLVIII). All'angolo inferiore sinistro del dipinto, tre putti reggono un cartiglio (entro il quale era certamente presente, in origine, un'iscrizione) e due corone (ducale la sinistra e marchionale la destra, secondo Koering 2013, p. 334); all'estremità opposta tre figure assistono uno scrivente, impegnato a registrare lo storico avvenimento. Già ritenuta opera di tardo Quattrocento/inizio Cinquecento e variamente attribuita (cfr. Tellini Perina 1974, p. 27, nota 15; Bazzotti, Berzaghi 1986, p. 12), il dipinto è oggi riferito al periodo del ducato di Guglielmo e assegnato al veronese Sebastiano Vini o, con maggiori riscontri da parte della critica, al pesciatino Benedetto Pagni, già collaboratore di Giulio Romano presso il cantiere di Palazzo Te tra 1524 e 1534 e di nuovo a Mantova nel 1558-1559 e tra fine 1574/inizio 1575 fino alla morte, nel 1578 (Berzaghi 2014, pp. 269-276; Berzaghi in Algeri 2003, pp. 233-234). Nell'aprile 1574 il conte Teodoro Sangiorgio riferisce al duca Guglielmo della trattativa in corso con un pittore “forestiero” (forse un veneziano) per l'esecuzione dei “dodici quadri che sono tra la sala grande [sala di Manto] e il camerone dei Capitani”: La trattativa, tuttavia, non va a buon fine: a questo fallito tentativo seguirebbe l'esecuzione del murale del “Giuramento”, unico testimone di una commissione evidentemente riferita a un ciclo di dipinti su muro. Nel 1576, infatti, Benedetto Pagni è al lavoro su un “quadro di pittura” forse identificabile con il murale in oggetto, non ancora saldato nell'agosto 1578 (Berzaghi 2014, pp. 274-276). Il carattere arcaizzante del dipinto, evidenzia L'Occaso (2008, pp. 106-108), ben si inserisce nella logica di ripresa dei modelli storici attuata dalla committenza guglielmina. Koering (2013, pp. 333-335) evidenzia, a supporto della datazione del dipinto all'ottavo decennio, l'inserimento nella scena delle due corone, probabile riferimento ai titoli ducale (1536) e marchionale (1574) sul Monferrato: il 1574 sarebbe dunque il termine post quem della realizzazione del murale. All'inizio del XIX secolo (1818) il dipinto si presentava in buone condizioni (Valli 2014, p. 499). Dopo poco più di cinquant'anni, nel 1873 e come ricordato da Intra (1880, in Ferrari, L'Occaso 2003, p. 190), l'opera – detta allora un “affresco”, “ridotto dal tempo e dagli uomini in cattive condizioni” – fu pulita da Luigi Malvezzi: Patricolo (1908, p. 32) annota che l'abate Malvezzi “fu incaricato di applicarvi una certa sua segreta preparazione onde ripulirlo, essendo allora quasi irriconoscibile; ma lo specifico ebbe evidentemente assai miseri effetti, e per lo meno ci vieta di poter sceverare ciò che sia questo stranissimo dipinto”. Gli scarsi risultati della pulitura sono intuibili dalla definizione di dipinto “ammalorato” data al murale nella “Stima abbreviata del valore venale del Palazzo ex Ducale” del 1876 (Valli 2014, p. 500). %
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0303267674-3
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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