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ciotola del mendicante kashkul,

Kashkul o "ciotola del mendicante" realizzata con una mezza noce di coco-de-mar e collegata ad una catena in ferro necessaria per il trasporto. Ciotole come questa venivano usate dai monaci dervesci per raccogliere le elemosine

  • OGGETTO ciotola del mendicante kashkul
  • MATERIA E TECNICA coco-de-mer/ scavo
    METALLO
  • AMBITO CULTURALE Ambito Islamico
  • LOCALIZZAZIONE Castello di Racconigi
  • INDIRIZZO Via Francesco Morosini, 3, Racconigi (CN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Nella definizione “arte islamica” rientrano tutti i lavori artistici prodotti nel mondo islamico indicativamente dal VII secolo d.C. alla caduta dell’impero Ottomano. Ad unire tutte le esperienze storiche comprese in quest’arco di tempo è l’adesione delle popolazioni interessate alla cultura islamica, armonica e riconoscibile, ma anche molto varia e ricca di tradizioni locali. Le kashkul, anche conosciute come “ciotole dei mendicanti” sono contenitori usati dai monaci dervisci per lo più per raccogliere le elemosine, più raramente come recipienti per bere. Talvolta decorate con citazioni dal Corano, per i Sufi rappresentano simbolicamente il processo di purificazione da tutti i bisogni terreni e la preparazione spirituale per accogliere l’amore di Dio e una vita di povertà. Il termine “kashkul” è di origine persiana, tuttavia la presenza della confraternita Sufi dei dervisci si estende in tutto il mondo islamico, con particolare successo in Persia e Turchia. Considerando poi anche il nomadismo che caratterizza la pratica dei monaci dervisci, diviene molto difficile individuare l’esatto contesto di provenienza delle singole ciotole dei mendicanti. Le kashkul sono costruite con vari materiali tra cui legno, metallo e ceramica. In quanto oggetti usati da un gruppo religioso che professa la povertà, le kashkul sono spesso spoglie, fatta eccezione per le eventuali iscrizioni dal corano. L’opera in questione non ne presenta. Nei secoli tuttavia, le ciotole dei mendicanti cominciarono ad essere vendute come oggetti decorativi, motivo per cui non è raro trovare degli esemplari riccamente decorati in oro e pietre preziose. La presente opera è molto semplice e senza decorazioni. È stata realizzata scavando una metà di una noce di coco-de-mer, frutto originario delle isole Seychelles giunto sulle coste dell’India e dell’Iran trascinato dalle onde dell’oceano. Per via di questo suo viaggio, che viene paragonato al percorso contemplativo che i Sufi compiono sperando di raggiungere la conoscenza spirituale, il coco-de-mer ha acquisito sin dal suo arrivo in medio oriente un significato simbolico e mistico. Sin dall’inizio dell’era del colonialismo moderno, nel XVI secolo, viaggiatori ed esploratori dimostrarono interesse nel raccogliere e collezionare oggetti prodotti nei paesi che visitavano. Destinati inizialmente ad essere esposti nelle Wunderkammer, nelle quali personaggi facoltosi dell’alta società europea mettevano in mostra le “artificialia” prodotte da popoli lontani, divennero poi oggetto di studio da parte degli etnografi. Che fosse per studio o per diletto i collezionisti erano interessati ai cosiddetti “curiosa”, artefatti particolari il cui uso era ignoto agli europei e che venivano quindi percepiti come frutti di un ingegno esotico, ma anche agli oggetti di uso quotidiano, a quelli rituali e religiosi, e alle armi. Considerati testimonianze della vita di popolazioni “primitive” e di uno stadio dello sviluppo umano antecedente a quello moderno, tali artefatti erano preziose fonti di informazioni per gli studiosi e interessanti suppellettili esotiche per i ricchi collezionisti. Ben presto si sviluppò un florido mercato per tali oggetti, prodotti talvolta appositamente per essere venduti agli stranieri e in molti altri casi creati originariamente dalle popolazioni locali per il proprio consumo e poi acquistati dai visitatori di passaggio. Nati per l’uso quotidiano e divenuti articoli da collezione, i manufatti delle popolazioni lontane compirono un passaggio simbolico attraverso il quale guadagnarono lo status di oggetti pregiati, degni di essere donati a persone di spicco in occasioni importanti. Non è stato possibile trovare informazioni puntuali sulle circostanze di arrivo dell’opera in Italia. Si segnalano però tre delegazioni straniere che potrebbero aver portato la kashkul in Piemonte come dono diplomatico: le missioni ottomane del 1904 (Corriere della Sera n.227 p.3) e del 1910 a Torino (Corriere della Sera n.139 p.5) e la missione persiana in visita a Racconigi nel 1911 (Corriere della Sera n.222, p.4). L'opera appartiene a un corpus di oggetti extra-europei ricevuti in omaggio dai membri della famiglia reale di Savoia durante i loro viaggi, o offerti da delegazioni diplomatiche in visita in Italia. La consolidata tradizione di scambiarsi doni diplomatici tra monarchi, autorità religiose e capi di Stato è attestata sin dai tempi dell’antico Egitto e tutt’oggi risponde allo scopo di favorire, assicurare e mantenere buoni rapporti tra le parti. I doni, che assumono un valore, oltre che monetario, anche spiccatamente simbolico, sono spesso scelti in quanto rappresentanti l’essenza della Nazione o dell'istituzione che li offre. Si tratta infatti sovente di opere di artigianato, esempi di abilità manifatturiera, beni di lusso e artefatti di importanza storica realizzati con materiali locali. Attraverso l’esibizione di tali doni i dignitari promuovono la propria cultura e la propria patria ai livelli più alti delle pubbliche relazioni
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100450823
  • NUMERO D'INVENTARIO XR 3300
  • ENTE SCHEDATORE Castello di Racconigi
  • DATA DI COMPILAZIONE 2022
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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