salita di Cristo al monte Calvario

dipinto, ca 1740 - ca 1740

Dipinto originariamente di forma ovale che presenta una cornice in legno intagliato e dorato con battuta ornata da un decoro a foglioline e fascia esterna con gola liscia e motivo fogliato lungo il profilo

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Olivero Pietro Domenico (1679/ 1755)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto non risulta menzionato nella Descrizione delle pitture, sculture et altre cose piu notabili del Real Palazzo e Castello di Torino del 1754 nè nel Catalogue des Tableaux des plus excellens Peintres Italiens Flamands et hollandois Existans Dans les Galleries Appartamens & Cabinets de S. M. le Roi de Sardaigne redatto nel 1777 da Pietro Paolo Wehrlin. Non compare nemmeno nei due inventari delle collezioni d'arte di Palazzo Reale fatti redigere dal re Carlo Felice negli anni di prima Restaurazione. Non è segnalato neppure nella Nota de' Quadri, Incisioni, & Busti levati dal Palazzo Carignano, e trasportati nel Reale Appartamento occupato da S. M. e nel Regio Guardamobili li 25 26 e 27 8bre 1831 redatto da Angelo Boucheron. Non si trova neanche tra i dipinti collocati nel 1824 nel Castello di Moncalieri. Noemi Gabrielli (1971, p. 182, n. 72) lo dice proveniente dalle collezioni sabaude. Le fonti settecentesche ricordano una Passione di Olivero, senza specificarne tuttavia la committenza: Felice San Martino (Ozi letterari, Torino 1787, vol. II, pp. 3-18) scrive che il pittore "Bramoso di compiacere allo stesso (Marchese d'Ormea), e fatto dallo studio più esperto sollevò il suo pennello dalle piazze del minuto popolo a dipingere fatti di sacra storia con non mediocre successo. L'acqua stillante dal sasso al tocco della santa verga, Noè ch'edifica l'arca, Cristo che nasce, i Magi che lo adorano, i profani venditori dal Tempio scacciati, I Giudei che al Calvario lo conducono sono soggetti con molta felicità da lui dipinti, ne' quali seppe porre tutto il sublime che alle cose di religione conviensi, senza nascondere però la vivacità della sua immaginazione" (il passo è pubblicato in Baudi di Vesme 1963-1982, vol. III, pp. 746-747 e in Cifani, Monetti 1993, vol. II, pp. 529-530). Anche Felice Durando di Villa (Ragionamento che segue i Regolamenti della R. Accademia di pittura e scultura di Torino, Torino 1778) cita dell'Olivero quadri di contenuto religioso: "seppe anche talvolta abbandonare questi soggetti bassi, e trattò pure con eguale facilità argomenti gravi, ed anche sacri" (cfr. Baudi di Vesme 1963-1982, p. 744). L'opera è registrata, per la prima volta, nei due inventari della Reale Galleria redatti nel 1851 e nel 1853 che lo segnalano nella Sala nº 2 detta Sala Piemontese di Palazzo Madama, prima sede del museo (n. 29). Nella medesima collocazione lo indicano Carlo Benna (1857, p. 10, n. 29) e J. M. Callery (1859, p. 118, n. 29), che rileva nella tela ricordi da Rembrandt, Van Laer e de Lingelback. Il catalogo a stampa redatto da Francesco Gamba nel 1884 (p. 27, n. 73) lo dice esposto nella sala n. 4, dedicata ai pittori piemontesi, al secondo piano del Palazzo dell'Accademia delle Scienze, dove la Galleria era stata trasferita dal 1865. Alessandro Baudi di Vesme (1899, pp. 43-44, n. 72) ricorda che la tela in origine era di forma ovale. Vittorio Viale (1946, p. 22), analizzando l'opera pittorica dell'Olivero, metteva in evidenza come il tema sacro venisse interpretato dall'artista in maniera interamente personale fornendogli l'occasione per rappresentare un lungo e fastoso corteo di cavalieri e di folla, il tutto, però, in una tonalità azzurrina insolita nel pittore piemontese. Una riproduzione fotografica della tela è contenuta nel saggio di Cristina Mossetti (in Griseri, Romano, a cura di, 1989, p. 263), in cui la studiosa ricorda l'Olivero, la cui produzione di genere incontrava il gusto e il favore della corte sabauda, come uno degli autori prediletti del marchese Ferrero d'Ormea, primo ministro di Vittorio Amedeo II. Più recentemente Cifani e Monetti (1993, vol. I, p. 152; fig. 136, p. 231), sottolineando l'intenso pathos e la dinamicità della scena messi maggiormente in risalto dall'originaria forma ovale, hanno rivelato come la fonte prima della composizione vada ricercata nell'incisione di Jacques Callot raffigurante la Salita al Calvario, facente parte della serie della Grande Passione (Ibidem, fig. 137, p. 231; Lieure 1924-1929, vol. 2.1, tav. 286): da questa stampa l'Olivero trae spunto per parte del monte e per diverse figure, ricalcando i due ladroni e la donna sulla destra che indica al figlioletto il dramma e ispirandosi liberamente ad essa per il gruppo che precede Cristo. Il pittore mostra, comunque, di aver meditato anche sulle altre scene della Passione di Callot, il cui universo stilistico, ironico ed irrequieto, appare del tutto congeniale all'artista piemontese. (continua in OSS)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100373235
  • NUMERO D'INVENTARIO 366
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2014
  • ISCRIZIONI in basso su frammento di lapide - P. D. O - Olivero Pietro Domenico - capitale romana - a pennello -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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