ratto delle Sabine
dipinto,
ca 1582/ 1583 - ante 1584
Supporto tessile in lino con un'armatura a saia, costituito da cinque teli posti in orizzontale. Telaio di fattura industriale, di epoca post bellica. Dipinto più volte foderato e supportato da tele ausiliarie di rinforzo
- OGGETTO dipinto
-
MISURE
Altezza: 292 cm
Larghezza: 416 cm
-
ATTRIBUZIONI
Da Ponte Francesco Detto Bassanino (1549/ 1592)
-
ALTRE ATTRIBUZIONI
Da Ponte Leandro Detto Leandro Bassano
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
- LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
- INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Direttamente commissionato da Carlo Emanuele I, il Ratto delle Sabine fu menzionato per la prima volta in modo esplicito da Lomazzo nel 1590, ma è possibile si trovasse già presso la corte sabauda verso il 1582-1583 in occasione della visita di Raffaello Borghini, che registrava la presenza di due dipinti di Francesco Bassano senza precisarne però il soggetto (cfr. Borghini, 1584, p. 461; Rearick, 1981; Bava, 1995). Veniva poi ricordato in una nota manoscritta del duca sabaudo nel 1605 e nell’inventario del 1635, ove Antonio Dalla Cornia lo attribuiva erroneamente a Leandro Bassano (Bava, 1995). È invece opera certa di Francesco che appose la firma tutt’ora visibile sul bordo inferiore del dipinto, benché una decurtazione subita dalla tela lungo i margini l’abbia resa mutila. Tuttavia un ricordo della composizione nella sua interezza è fornito da alcune copie, prima fra tutte quella probabilmente seicentesca attribuita allo studio bassanesco dell’Accademia dei Concordi di Rovigo (Lucco, 1985). Le stesse fonti inventariali testimoniano del resto l’esistenza all’interno della bottega di almeno altre due versioni del soggetto, redazionate da Francesco per il fratello Giambattista e da Girolamo Dal Ponte (Mason, 2009, pp. 62 n. 428, 79 n. 19). L’episodio non è tuttavia tra i più rappresentati dai pittori veneti del Cinquecento, maggiormente inclini a visualizzare racconti mitologici o avvenimenti tratti dalla storia di Venezia piuttosto che da quella dell’antica Roma. Fanno per lo più eccezione i pittori di origine veronese come Bonifacio de Pitati, Paolo Farinati o Gabriele Caliari che, in sintonia con la cultura figurativa centro italiana con la quale si erano formati, ne forniscono un’interpretazione in chiave classicistica ed erudita, volta a sfoggiare dotte citazioni dall’antico e a esprimere la propria passione per le vestigia del passato (Accornero, 2013 con bibliografia). La versione bassanesca risente per contro dell’esperienza maturata da Francesco nel cantiere della Sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale di Venezia, che nel dipinto torinese non è trasfusa soltanto in termini di forte drammaticità e patetismo ma attraverso desunzioni dal medesimo repertorio formale, come si coglie soprattutto nel caso della Battaglia di Maclodio dalla quale è preso a prestito il cavallo in primo piano sulla sinistra e quello bianco che s’impenna sul lato opposto della composizione. Venturi (1929) sottolineava inoltre l’inserzione di motivi di genere come il cane in primo piano e il ragazzo di spalle con giubba a lingue dardeggianti collocato nell’angolo a destra, per Arslan (1931; 1960) sinonimo di un bassanismo ormai sceso a compromessi con il manierismo lagunare. In accordo con le prescrizioni suggerite da Lomazzo per rappresentare i rapimenti in pittura, si colgono inoltre elementi di impietoso e caricato realismo nella resa delle lacrime che solcano le gote dei visi e nelle espressioni raggelate delle bocche dischiuse, in taluni casi corredate dalla macabra rappresentazione dei denti. Per Arslan (1931; 1960) gli impasti di colore e la regia dei bagliori luministici mostrerebbero invece i frutti degli insegnamenti paterni. Effettivamente Rearick (1981) reputava che lo schizzo generale della composizione fosse fornito a Francesco dal padre Jacopo, attraverso un energico e tumultuoso disegno dell’inizio degli anni ottanta (Parigi, collezione Cornet), poi integrato dal figlio con aggiunte e piccole rettifiche. Fa capo alle rielaborazioni di quest’ultimo un foglio degli Uffizi (n. 1890F), considerato preparatorio per la sabina inserita in prossimità del centro del dipinto che volge lo sguardo implorante verso il simulacro del dio Conso, un tempo rappresentato nell’angolo sinistro del dipinto prima che la tela fosse irrimediabilmente ridimensionata (De Blasi, Ferrero, 2013; Cardinali, Buscaglia, Canepa, Parlato, 2013). Proprio nella zona centrale l’esame radiografico ha inoltre rilevato alcuni ripensamenti di piccola entità, riguardanti per lo più la posizione delle due donne collocate una di fronte all’altra, mentre l’esame a luce radente ha reso conto di un’imprimitura fortemente materica - probabilmente a base di biacca - spesso stesa con un diverso andamento della pennellata in rapporto agli strati pittorici finali, come si evince soprattutto dal viso femminile a sinistra del soldato vestito di blu (Bava – Radelet, 2009). [Continua nel campo OSS]
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
-
CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Stato
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100373234
- NUMERO D'INVENTARIO NR (non rilevato)
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Musei Reali-Galleria Sabauda
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
- DATA DI COMPILAZIONE 2014
- ISCRIZIONI bordo inferiore del dipinto, leggermente spostata verso sinistra - FRANC. VS BAS[S] - pittore - capitale - a pennello - latino
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0