giudizio di Paride

dipinto ca 1550 - ante 1591

Cornice del XIX secolo

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Licinio Giulio (1527/ 1591)
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Sustris Lambert
    Meldolla Andrea detto Schiavone
    TIZIANO VECELLIO
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Una nota del 20 febbraio 1607 registra l’acquisto “di quattro quadri a uso fregi di mano di Ticiano” comprati per 400 scudi d’oro dal gioielliere e intagliatore di origine comasca Gasparo Mola su incarico di Carlo Emanuele I (Angelucci, 1868 e 1878; Bava, 1995). La serie, concorde per formato e stilisticamente assegnabile a un unico autore, è riconoscibile in quattro tavole con Storie dell’Iliade, tra le quali il Ratto di Elena reca tutt’ora visibile in alto a sinistra la firma aprocrifa “Titiano”, aggiunta per indubbi scopi commerciali probabilmente al momento della vendita. Con tale attribuzione erano ancora elencati nell’inventario di Palazzo Reale del 1 settembre 1631 (Campori, 1870), mentre a distanza di un quattrennio Antonio Dalla Cornia proponeva il nome di Andrea Schiavone, poi sostenuto anche dal pittore Garola in una nota di restauro del 1665. L’altisonante paternità tizianesca veniva rilanciata poco oltre la metà dell’Ottocento dal Callery, dal D’Azeglio e, ovviamente, in occasione del fortunato rinvenimento documentario che attestava la provenienza delle tavole (Angelucci, 1868 e 1878). Jacobsen invece non riteneva certo meno prestigioso rispolverare il nome del Meldolla, giudicandole “al pari delle opere migliori della fioritura postuma della Scuola Veneziana” (Jacobsen, 1897, p. 134). Tale giudizio veniva sostenuto nei cataloghi successivi della Galleria (Baudi di Vesme, 1897, 1899, 1909; Pacchioni, 1932; Bernardi, 1968; Gabrielli, 1971) e dagli studi a seguire (Fröhlich-Bum, 1913; Berenson, 1932, 1936, 1968, Uvodić, 1934) sino alle perplessità espresse da Coletti, il quale riteneva che potessero “aspirare a sollevarsi” dal “mediocre livello schiavonesco” (1940), e da Pallucchini, che nelle tavole sabaude individuava una fase soltanto transitoria dell’artista per la scaltra maturità d’impaginazione delle scene e la risoluzione dei corpi su un piano più accademico (1950). Venivano così in qualche modo anticipate le ipotesi avanzate da Ballarin (1962 e 1963) e Richardson (1972 e 1980) in direzione di Lambert Sustris. Da allora le Guide del Museo si sono espresse nel medesimo solco critico, rilevando soprattutto nel Ratto di Elena cifre stilistiche presenti in una tela di analogo soggetto già di collezione Donà dalle Rose e nel lacerto con la Presa di Alba della Sala dei Giganti di Palazzo del Capitanio a Padova (Mancini, 1993), che fornirebbero in quella stessa sede più di uno spunto anche a Stefano dall’Arzere (Saccomani, 1998). A eccezione del credito conferito da Pallucchini (1981), del tutto inascoltata è rimasta sinora l’attribuzione da tempo avanzata dalla Vertova (1976) in direzione di Giulio Licinio, ultimo esponente della nota bottega veneziana di origine bergamasca e tra i decoratori della Libreria Marciana di Venezia prima di emigrare oltralpe a servizio delle più note famiglie aristocratiche di Augusta e della corte asburgica. Proprio l’appellativo di “Giulio romano” - con cui l’artista era altrimenti conosciuto in quel frangente contestuale per via del suo stile maturato all’ombra del manierismo centro italiano - ha fatto in modo che venisse sovente confuso nominalmente con il più noto Giulio Pippi o con i suoi allievi. Mentre l’interpretazione delle notizie erroneamente riportate da Vasari e Ridolfi spingevano Sandrart a identificarlo con il Pordenone e, di fatto, contribuivano a una tardiva messa a fuoco della sua personalità artistica. Indubbiamente il suo stile sembra desumere dal Sacchis il gigantismo e la corposità muscolosa delle figure, condividere con Schiavone un certo tipo di produzione pittorica e la passione per le figure esposte a violente raffiche di vento e con Sustris soltanto il prestigio di una committenza sia veneta che oltramontana, discostandosi dal suo stile grafico e per una più complessa regia nella costruzione dei piani narrativi dell’immagine (Vertova, 1976 e 2005 ma anche Pallucchini, 1981). La sequenza narrativa dell'episodio rappresentato viene infatti restituita non solo dall’ordine dettato dalla fonte testuale omerica ma persino visualizzata dalla coincidenza degli scenari paesaggistici ai lati di ciascun pannello, che anticipano gli sviluppi successivi della storia e si prestano forse a suggerire un’ipotesi sull’allestimento originario del ciclo. Cosicché la quinta arborea che circonda il Monte Ida nel Giudizio di Paride prosegue nella selva presso la reggia di Menelao nel Ratto di Elena, il mare lambisce tanto l’estremità di questo episodio che quello successivo del Sacrificio ove si ritrovano i velieri, per concludersi nell’oscurità della foresta preludente all’assalto notturno della Presa di Troia. Non diversamente lo stesso meccanismo registico viene replicato all’interno dello stesso pannello, [continua nel campo OSS]
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350759
  • NUMERO D'INVENTARIO 425
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Musei Reali-Galleria Sabauda
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

ALTRE OPERE DELLO STESSO AUTORE - Licinio Giulio (1527/ 1591)

ALTRE OPERE DELLO STESSO PERIODO - ca 1550 - ante 1591

ALTRE OPERE DELLA STESSA CITTA'