Trinità

dipinto, post 1561/ 1562 - ante 1568

Cornice del XVIII secolo

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Robusti Jacopo Detto Tintoretto (1518/ 1594)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto entrò a far parte delle collezioni sabaude a seguito dell’acquisto della pinacoteca di Marcello Durazzo (1777-1826) da parte del Re di Sardegna Carlo Felice nel 1824 e pagato 4000 lire nuove del Piemonte. Rimasto a Genova in dotazione della Real Casa fu portato a Torino nel 1837. Ripercorrendo a ritroso la sua storia veniamo messi a parte soltanto nel 1751 da Charles Nicolas Cochin della sua collocazione nel salotto detto dell’Aurora, situato al secondo piano nobile della residenza di Marcello Giuseppe Durazzo di Gio. Luca II e gremito di capolavori ascrivibili a Caravaggio, Jordaens, Van Dych (Leoncini, 2004), ma soprattutto informati del suo stato di frammento fortunosamente scampato a un rovinoso incendio che aveva completamente distrutto la parte inferiore della tela. La notizia fornita dal francese era poi ripresa dal Ratti, che inoltre confermava la sua collocazione nel medesimo ambiente del palazzo insieme a un non meglio identificato Ritratto d’uomo dello stesso Tintoretto, e dagli anonimi autori delle Descriptions di fine Settecento (Leoncini, 2004). Thode (1901), incrociando i dati emersi da una lettura delle fonti storiche (Sansovino, 1581; Borghini, 1584; Ridolfi, 1648; Boschini, 1674), fu il primo a ipotizzare che si potesse trattare della parte superiore di una pala d’altare proveniente dalla chiesa delle monache agostiniane di San Girolamo a Venezia, andata a fuoco nel 1705 insieme alla pressoché totalità delle opere che vi erano contenute (Cfr. Zorzi, 1972, pp. 508-509). Pare dunque probabile che a seguito di quelle drammatiche circostanze Gerolamo Ignazio Durazzo (1676-1747), di cui sono ormai noti gli interessi in direzione della pittura veneziana cinquecentesca, lo avesse acquistato direttamente tra le lagune (Leoncini, 2004). Ad eccezione del Vesme (1909, p. 156), più incline a ritenerla una composizione di per sé compiuta e forse destinata a un soffitto, la critica non ha più dubitato del suo carattere parziale che, per giunta, pare confermato anche dalla presenza di ossidature, tracce di bruciature del supporto tessile nella parte inferiore e cadute di colore, soprattutto in prossimità della battitura superiore della cornice, sul petto di Dio Padre e sotto il braccio sinistra della croce (Gabrielli, 1971; Medri, in Ricchiuto-Spantigati, 1982, p. 353). A ulteriore riprova della corretta provenienza della Crocifissione sovviene da ultimo una recente segnalazione documentaria di Lorenzo Finocchi Ghersi (1999), che verosimilmente l’ascrive a una commissione di Piero Alessandro Lippomano, ricorso al pennello di Jacopo Robusti anche per decorare ad affresco la facciata del suo palazzo di Santa Fosca “con varie bizarie di figure, putini, e in particolare sopra un camino un vecchio di chiaroscuro incatenato con la morte” (Boschini, 1674, p. 54). Più specificamente pare infatti che il 27 dicembre 1560 il Lippomano avesse firmato un contratto con uno stretto collaboratore di Jacopo Sansovino, Pietro Grazioli da Salò, per l’erezione di un altare dedicato a Sant’Adriano in finissima pietra di Rovigno e affiancato da colonne marmoree di colore rosso. Secondo quanto si evince poi da una preziosa testimonianza grafica, ritrovata nel fondo della famiglia veneziana presso la Biblioteca del Museo Civico Correr, lo spazio destinato alla pala (cm 430X200) sarebbe compatibile alla larghezza del dipinto torinese (cm 181), mentre il timpano dell’altare, ornato da un basso rilievo con Dio Padre al centro e due Vittorie ai lati, renderebbe conto della sua iconografia. Coerentemente alla sua originaria collocazione, la pala si componeva dunque della presenza congiunta intorno alla croce dei Santi Adriano, Francesco e Agostino, giusta la segnalazione di Marco Boschini che implicitamente rettifica quella di Carlo Ridolfi (cfr. Ridolfi, 1648, II, p. 33; Boschini, 1674, p. 42). Stando a un tale stato di cose verrebbero dunque definitivamente a cadere le ipotesi cronologiche sinora sostenute dalla critica, orientate per lo più intorno al 1570-75, a vantaggio di una datazione alla metà della decade precedente invece proposta da Paola Rossi (1982) e forse ulteriormente anticipabile al 1661-62, quando cioè i lavori di costruzione della cappella Lippomano potevano dirsi conclusi (Finocchi Ghersi, 1999)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350756
  • NUMERO D'INVENTARIO 416
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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