Madonna con Bambino

dipinto, post 1456 - ante 1460

La tavola è composta da un asse unico di pioppo che presenta lungo tutto il perimetro il profilo a vista del supporto ligneo, risparmiato già in origine da preparazione e stesura pittorica per essere inserito a incasso entro una cornice coeva. Si presenta come un asse verticale con sverzature e inserimento di farfalle localizzate nella parte centrale a sinistra e 2 traverse raffrontate a sezione trapezoidale. Gessatura del retro. Tutta la superficie dipinta è definita da un sottile profilo perimetrale di intenso colore rosso lacca. La tavola è stata rifilata sul lato destro, come segnalano i canali paralleli a vista dei tarli. Questi interventi sembrano comunque antecedenti al più antico restauro documentato presso la Pinacoteca ed eseguito da Ercole Patrito con ogni probabilità in occasione della mostra dei capolavori della Sabauda, tenutasi a Torino nel 1954. CORNICE: del XIX secolo; dorata a cassetta con decorazione a pastiglia e a bulino. Telaio con incastro angolare a 90° e taglio verticale; scanalatura verticale in alto al centro e diversi fori di chiodi. Inserimento del dipinto con sbarrette metalliche

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a tempera
  • ATTRIBUZIONI Čhiulinovič Giorgio Detto Giorgio Schiavone (1436 Ca/ 1504)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Grazie al cartellino posto lungo il bordo inferiore dell’edicola marmorea, nel quale tutt’ora si legge “Opus Sclavonii Dalmatici Squarzoni S.”, il dipinto é con tutta probabilità riconoscibile in quello notato da Luigi Lanzi in una collezione privata di Fossombrone, visitata anche da Kukuljević (1858). Passato in data imprecisata in quella del conte Buonaventura Benucci di Senigallia (Crowe-Cavalcaselle, 1912), fu acquistato nel 1879 dalla Galleria Sabauda sul mercato antiquario milanese per 15 mila lire (Baudi di Vesme, 1899). Nonostante la suggestiva ipotesi di Zampetti (1961; 1997) che, considerando la sua influenza su pittori come Nicola d’Ancona, tenta di legare la provenienza dell’opera all’attività marchigiana del suocero del pittore, l’architetto e scultore Giorgio Orsini, mancano attualmente riscontri certi sulla sua più antica storia collezionistica. Si tratta di una delle rare opere certe che compongono l’esiguo catalogo dell’artista dalmata e come tale è ricordata da tutta la letteratura critica che lo riguarda (Gabrielli, 1971). Più specificamente dovrebbe collocarsi durante i primi anni del suo giovanile apprendistato presso la bottega padovana di Francesco Squarcione (Astrua, 2006), durato poco meno di un lustro a partire dal 1456 (Prijteli, 1980), o tutt’al più sospingersi sino al 1460 (Zampetti, 1961), sebbene a quella data i suoi rapporti con il più anziano maestro dovevano già essersi bruscamente interrotti (Prijteli, 1985). Numerosi sono infatti i richiami alla cultura archeologica e al repertorio lapidario che si trovava presso lo studio padovano di Pontecorvo, da cui derivano certe asprezze grafiche e bizzarrie nella composizione come l’edicola marmorea a mezzo tra l’arco classico - da cui mutua persino le lettere “SP/QR” - e la finestra rinascimentale, che tuttavia riprende quella proposta da Marco Zoppo in un foglio a penna di soggetto analogo, oggi al British Museum di Londra (Prijteli, 1960; De Nicolò Salmazo, 1987). Tali elementi dichiarano apertamente “la conoscenza di una cultura umanistica, abbracciata con la dedizione del neofita” non esente da una certa “violenza compositiva” conferita dall’accensione fredda e acidula della tavolozza (Zampetti, 1961). A tal proposito la riflettografia infrarossa eseguita in occasione dell’ultimo restauro ha posto infatti in evidenza la singolare qualità del disegno preparatorio che reca la traccia della quadrettatura di riporto, necessaria al trasferimento in pittura di un modello di riferimento (Astrua, 2006). L’originalità di alcuni dettagli compositivi e l’incisiva espressività delle figure si rivelano inoltre funzionali a trasmettere i significati reconditi del dipinto, allusivi al destino tragico che attende Maria e il Bambino. Questi è infatti sollevato rispetto al piano dell’edicola marmorea e collocato su una sorta di altare in pietra collocato a mo’ di mensola e tiene saldamente un cardellino, emblema insieme ai frutti del destino di passione che lo attende. Mentre poco oltre l’artificiosa posizione del polso della Vergine, che appoggia soltanto il dorso della mano al prezioso libro delle Scritture, sembrerebbe suggerire di non volerle adempiere anzi tempo. Completa il messaggio la presenza della mosca posata sulla schiena dell’angioletto di sinistra, saggio tanto dell’abilità mimetica del pittore secondo i precetti del Filarete (Astrua, 2006) ma anche macabro richiamo di morte codificato almeno a partire dalla metà del Quattrocento (cfr. Chastel, 1984). Spiccano poi indubbie desunzioni dal cantiere donatelliano del Santo, di cui sono spia eloquente persino i putti dipinti a imitazione del bronzo posti alla sommità dei pilastri dell’edicola e a coronamento dell’arco a tutto sesto o quelli con le trombe, liberamente citati dal Miracolo della Mula e più tardi richiamati nei motivi decorativi utilizzati dal miniatore veneziano noto come il Maestro dei Putti (Casu, 2000). Non di meno, i debiti nei confronti di Giovanni da Pisa nei partiti architettonici delle sue Madonne (Kokole, 1990) sono tali da lasciare ipotizzare che il Dalmata si esercitasse anche nella pratica della scultura in terracotta, così che si è creduto più di recente di poter alternativamente sciogliere l’abbreviazione “S.” - posta a chiusura dell’iscrizione - in “sculptor” oltre che nel più tradizionale “scholaris” (De Nicolò Salmazo, 2006, pp. 21-25). Sono altresì evidenti i debiti stilistici nei confronti dell’arte toscana di Filippo Lippi (Bonicatti, 1964; De Marchi, 1996) e ancor più di quella mantegnesca della Cappella Ovetari, filtrate attraverso la lezione fornita della Madonna Wimborne di Marco Zoppo del 1455 (De Nicolò Salmazo, 1987; Ead., 2006, p. 244) e da un dialogo serrato e reciproco con Carlo Crivelli, forse non alieno da un proficuo spirito competitivo proseguito probabilmente anche all’indomani del rientro in patria [continua nel campo OSS]
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100217083
  • NUMERO D'INVENTARIO 192
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Musei Reali-Galleria Sabauda
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2003
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2006
    2012
  • ISCRIZIONI in basso al centro, su cartiglio dipinto - Opus Sclavoni dalmatici Squarzoni S - stampatello -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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