Valis, valis, valis: il canto della cinciallegra e la stagionalità dei gelatieri (bene semplice)

Il narratore è seduto al limitare di un bosco. Come ex gelatiere che ha lavorato molti anni in Germania, riporta una storia che ha sentito nella sua frazione di Bragarezza in Val di Zoldo: la storia è legata al canto della “perussola” che in dialetto zoldano significa cinciallegra. Racconta che la cinciallegra inizia a cantare solitamente alla fine di gennaio, primi di febbraio, dopo la festa di San Sebastiano. Cita e recita in dialetto anche un proverbio legato proprio al giorno del Santo: «San Bastian, la viola in man» e spiega che questo proverbio, più che sancire realmente la fine dell’inverno, è una forzatura dettata dal desiderio di voler vedere la bella stagione avanzare. Riprende quindi a raccontare la storia della cinciallegra cercando di imitare, con il fischio, il suono del canto dell’uccellino. Continua dicendo che in questi luoghi, quando la cinciallegra iniziava a cantare, il canto era considerato un monito, un avvertimento per iniziare a preparare le valigie, perché il suo suono richiamava la parola valigie in dialetto: “valis”. Ripete più volte la parola «Valis, valis, valis, valis» e subito dopo imita di nuovo con il fischio il canto della cinciallegra per sottolineare l’assonanza. Per lui questo era un momento struggente perché significava che con l’avanzare della primavera e il risveglio della natura giungeva però l’ora di preparare la valigia, di lasciare i luoghi del soggiorno invernale e di staccarsi completamente dalla natura. Conclude dicendo: «Ecco questa è la storia della perussola»

  • OGGETTO Valis, valis, valis: il canto della cinciallegra e la stagionalità dei gelatieri
  • CLASSIFICAZIONE LETTERATURA ORALE NON FORMALIZZATA
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il bene è una interpretazione del suono della cinciallegra che avvisa i gelatieri che è ora di fare le valige e partire dalla loro valle. Per maggiore completezza e un corretto inquadramento del bene inventariato si riportano, in estrema sintesi, alcuni aspetti e tematiche in cui si è sviluppato l’ampio fenomeno della mobilità dei gelatieri bellunesi. Quest’ultima è sempre stata caratterizzata da percorso pianificato nei dettagli ben prima della partenza, basato su pratiche collaborative, forti legami intergruppo e finalizzato al raggiungimento di una autonomia lavorativa dopo un primo periodo di acquisizione dell’esperienza necessaria. È una mobilità praticata ancora oggi, perché è stata, ed è, di successo, a differenza di altre forme di migrazione specializzata che hanno interessato gli stessi territori ma non hanno avuto seguito. È una mobilità stagionale che coinvolge una grossa parte del nucleo familiare del gelatiere. Questo ampio coinvolgimento ha un peso importante nella pianificazione della propria vita, nella costruzione degli affetti e nelle relazioni sociali, spesso divise tra due luoghi: quello del lavoro e quello della pausa invernale. Dal XVIII secolo in diverse zone del Bellunese si è stratificata una corrente migratoria diretta verso i principali centri della Pianura Padana, Venezia in primis. Progressivamente si è allargata verso l’Impero Austro-Ungarico, con Vienna come centro di forte attrazione. La mobilità era inizialmente caratterizzata, come in altre zone alpine, per la maggior parte da uomini che migravano nel periodo invernale, dediti a diverse tipologie di lavori specializzati. Circa dalla metà del XIX secolo, nella Valle di Zoldo e in alcune zone del Cadore (es. Zoppè, Valle di Cadore, etc…) si sviluppò una predilezione per una peculiare attività lavorativa: la produzione di alimenti dolci (caldarroste, pere cotte, frutta caramellata, biscotti, in dialetto #scòti, percòt, caraméi, zalét#) e il loro commercio ambulante organizzato in gruppi di uomini, le “compagnie”. Verso la fine dell’Ottocento iniziò ad affermarsi una nuova opportunità: la produzione e la vendita ambulante di gelato. Non esistono fonti certe su chi fu il primo ad iniziare e da chi imparò questo nuovo saper fare. Molto probabilmente, grazie alle già presenti pratiche di mobilità lontano dai luoghi di origine e alla frequentazione di centri cittadini caratterizzati da un grande fermento culturale, alcuni pionieri vennero in qualche modo in contatto con questa nuova pratica e la fecero propria velocemente. Storicamente è documentato che proprio in questo periodo il consumo di gelato si stava sempre più affermando, uscendo da quel consumo esclusivo da parte di nobili e aristocratici che lo aveva caratterizzato fin dalle sue origini. La potenziale clientela era quindi in espansione e il mercato vasto. Un’ottima opportunità da cogliere che ben si coniugava con le modalità organizzative già consolidate: produzione in un laboratorio, vendita con il carretto ambulante e con le “compagnie”, materie prime, ghiaccio e sale facilmente reperibili nei grandi centri, forte propensione allo spostamento per motivi di lavoro. Il successo ottenuto fu tale che in pochissimo tempo la pratica si diffuse nei luoghi di provenienza di questa prima avanguardia di uomini, alimentando e stimolando sempre più partenze. A Vienna la diffusione era tale che nel 1894 fu emanata una legge che rendeva oneroso il commercio ambulante, ma questa stimolò i gelatieri a diversificare iniziando una attività di vendita fissa: nacquero le prime gelaterie e la concorrenza con i pasticceri locali continuò. Questa nuova modalità di commercio del gelato si diffuse sia all’estero che in Italia, spesso affiancando la vendita con i carretti. L’alta redditività dell’attività portò ad ampliare sempre più le destinazioni non solo in Italia e in Europa ma Oltreoceano, ad esempio in Argentina. Si delineò anche una sorta di “strategia di distribuzione” delle mete: alcune condivise da tutti, come la Germania e l'Ungheria, mentre per altre c’era la tendenza a orientarsi verso una determinata meta, quasi esclusiva, rispetto al singolo territorio di partenza. Questo a causa del passaparola tra abitanti della medesima frazione, alla propensione a costruire gruppi legati da relazioni di amicizia e parentela e per non saturare il mercato. Ad esempio Vienna per la Val di Zoldo e Zoppè; la Boemia, la Polonia, l’Olanda per i Cadorini. La Prima guerra mondiale segnò il declino della diffusione dei gelatieri zoldani e zoppedini in territorio austriaco ma non all'affermazione dell’attività dei gelatieri che ricollocarono le loro attività in altre città italiane o all’estero, soprattutto in Germania. Quest’ultima diventò la meta privilegiata, in particolare dal secondo Dopoguerra, per una serie di diversi fattori favorevoli: contiguità geografica, boom economico, familiarità con la lingua tedesca e tutt’ora è la meta preferita. Dopo il Primo conflitto mondiale i luoghi di provenienza dei gelatieri e la trasmissione del sapere si allargarono progressivamente: non più solo Val di Zoldo e Cadore, ma zone dell’Agordino, Longaronese, Coneglianese, Vittoriese, Trevigiano, dando vita a modalità di saper fare, di rappresentarsi e di comunicarsi condivise e riconoscibili. Notizie estratte dalla ricerca condotta da Claudia Cottica, Iolanda Da Deppo, Letizia Lonzi, Loris Serafini, su incarico del Comune di Val di Zoldo, per la redazione di un progetto museologico per la realizzazione del Museo del Gelato e dei Gelatieri a Pieve di Zoldo BL
  • TIPOLOGIA SCHEDA Beni demoetnoantropologici immateriali
  • LUOGO DI RILEVAMENTO Val di Zoldo (BL) - Veneto , ITALIA
  • ALTRA OCCASIONE comunicazione su richiesta
  • AUTORE DELLA FOTOGRAFIA Cottica, Claudia
    Cottica. Claudia
    Claudia Cottica
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500714312
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso
  • ENTE SCHEDATORE COMUNE VAL DI ZOLDO
  • DATA DI COMPILAZIONE 2022
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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