frantoio, privato, Frantoio ipogeo di Palazzo Granafei (SECOLI/ XV)

Sternatia, SECOLI/ XV

Il frantoio ipogeo di Sternatia, uno dei comuni della Grecìa salentina, si apre nel giardino del palazzo baronale del paese, nei pressi della “Porta Filìa”, l’unica porta dell’antico muro di cinta che chiudeva il centro cittadino. Il palazzo Granafei, costruito nel 1733 su disegno del celebre architetto barocco Mauro Manieri, sorge sui resti di una precedente fortezza, eretta intorno nel XV secolo, per difendere la città dagli attacchi dell’impero turco; infatti, durante la campagna per la liberazione di Otranto caduta in mano turca nel 1480, la fortezza ospitò il quartier generale dell’esercito napoletano, agli ordini del Duca di Calabria Alfonso d’Aragona, e delle milizie al comando del Conte di Conversano Giulio Antonio Acquaviva. Sempre da qui partì la spedizione che liberò la città nel 1481. Allo stesso secolo è attribuito lo scavo del frantoio, attivo fino al XIX secolo; ad oggi è l’unico frantoio rimasto di una rete di ambienti ipogei adibiti alla raccolta e alla lavorazione delle olive, collegati tra loro attraverso cunicoli e corridoi, ramificati al di sotto del piano di calpestio del paese e che fungevano, all’occorrenza, da rifugio per la popolazione durante gli attacchi degli invasori. La produzione di olio d’oliva è una tradizione di antichissima data nel paese di Sternatia, dove gli ambienti ipogei, che custodiscono gli originali strumenti per la lavorazione delle olive, sono ben custoditi e conservati con cura. Al centro del grande ambiente principale si conserva, integra, la vasca scavata nella pietra che ospita le due macine (la più antica delle quali è quella che presenta le dimensioni minori) che servivano per la spremitura delle olive, compiuta grazie al lavoro di un asino che, bendato, girava intorno alla vasca. Oltre alle macine, sono ancora presenti tre torchi a due viti del tipo “alla calabrese”, che servivano ad estrarre l’olio dalla pasta di olive ricavata dalla spremitura. Un torchio del tipo “alla genovese”, ad una vite e di fattura più moderna perché meno ingombrante, si trova nell’ambiente adiacente. L’olio ricavato dal torchio veniva poi alloggiato in una vasca piena d’acqua e pazientemente separato dalla stessa con le sapienti mani del capo dei frantoiani, detto anche nocchiero (dal termine greco nachiro) che attraverso una brocca raccoglieva delicatamente l’olio in superficie che, a conclusione del processo di lavorazione, veniva fatto macerare in un’apposita vasca

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