mausoleo, Mausoleo di Giovan Bernardino e Belisario Acquaviva d’Aragona (prima metà SECOLI/ XVI)

Nardò, 1545 - 1545

Il Mausoleo di Giovan Bernardo e Belisario Acquaviva d’Aragona è collocato alle spalle dell’altare maggiore, dove sorgeva l’antico coro dei frati, e fu realizzata nel 1545 per volontà di Giovanna Gaetani in onore del marito Giovanni Bernardino Acquaviva, duca di Nardò, e per i suoceri Sveva Sanseverino e Belisario Acquaviva. L’opera, in pietra leccese, presenta tre registri posti su un alto zoccolo decorato con quattro statue femminili, simboleggianti le Virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza. La porzione centrale è la più complessa: due leoni accovacciati, nel basso, sostengono sul dorso una piccola base su cui poggia un sarcofago finemente intagliato; mentre, al di sopra, la cassa funebre è sormontata dal coperchio e da quattro grifoni che fungono da base per i due cavalieri/telamoni (scultura maschile, a tutto tondo o ad altorilievo, con funzione strutturale o decorativa, spesso usata a sostegno di architravi al posto delle colonne) che reggono la seconda urna, su cui si adagiano, su teschi, due genietti funebri (figure di giovani angeli usati in contesti funerari). I guerrieri in alta armatura, ma senza elmo, si poggiano su scudi decorati dagli stemmi delle famiglie: Acquaviva d’Aragona, Sanseverino e Gaetani. Ai lati, quattro medaglioni, due per parte, sovrapposti in verticale, rappresentano soggetti mitologici, mentre due cartigli retti fra le fauci leonine riportano, in latino, il nome del committente e l’anno di completamento dell’opera. Il monumento termina nella parte superiore con una trabeazione con fregio a figure classiche, che fanno eco a quello della fontana di Gallipoli. Sempre in alto, entro due nicchie poste alle estremità si collocano due busti francescani molto aggettanti che leggono un breviario (libro liturgico), inizialmente a figura intera e inginocchiati. Il monumento mostra una certa incoerenza dovuta, forse, a delle manomissioni; le fasce sui lati decorate a panoplie (insieme di armi) sembrano accorciate, essendo il mausoleo adattato alla curva della parete in cui si incastra. La paternità dell’opera è stata molto discussa, e ancora oggi non si trova una soluzione univoca; Francesco Negri Arnoldi assegnò l’esecuzione ad un seguace di Nuzzo Barba, ma la Gelao, nel 2004, propose il nome di Francesco Bellotto. Tuttavia, lo scultore dimostra una grande fantasia e traduce bene il gusto della committenza, elegante e raffinato. Alcuni dettagli, come il finto “estofado” (finto tessuto broccato in oro) usato a mo’ di sfondo ai due cavalieri, o la retina che raccoglie i capelli alla Fortezza, denotano una certa perizia tecnica e abilità con lo scalpello, favorita dalla morbidezza della pietra locale

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