Santuario Santa Maria di Farfa
Nel cuore dell'antica terra Sabina, ai piedi del monte Acuziano, sorge la storica Abbazia di Farfa. Il luogo di culto, centro del monastero e della vita monastica che vi si svolge, è anche chiesa parrocchiale e Santuario mariano. Ai pellegrini, che giungono numerosi da ogni parte d’Italia e dall’estero, si presta assistenza spirituale, sia col ministero delle confessioni, sia con le celebrazioni liturgiche e particolari momenti di preghiera e di spiritualità. La Chiesa e l’annessa Abbazia è stata dichiarata Monumento nazionale, con Regio decreto 11 ottobre 1928, n. 2290. Il luogo sacro è stato visitato da re, imperatori e papi fino a quella in occasione della solennità di San Giuseppe (venerdì, 19 marzo 1993) da Sua Santità Giovanni Paolo II. Il 24 settembre 2024 Mons. Ernesto Mandara Vescovo della Diocesi Suburbicaria Sabina-Poggio Mirteto ha attestato il luogo di culto di Santa Maria di Farfa come Santuario di rilevanza diocesana. La festa principale è celebrata il 15 agosto
- OGGETTO santuario diocesano
- LOCALIZZAZIONE Fara in Sabina (RI) - Lazio , ITALIA
- INDIRIZZO Via del Monastero, 1, Fara in Sabina (RI)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE "Iste est quem tibi promiseram locus" ("Questo è il luogo che ti avevo promesso") - Parole rivolte dalla Madonna a San Tommaso di Moriana, restauratore di Farfa, per indicargli il luogo dove erano le rovine dell'Abbazia distrutta, ricostruita poi dal santo: è il luogo dell'attuale monastero. La fondazione di Farfa risale presumibilmente intorno al 560-570 d. C. da parte di San Lorenzo Siro, giunto appunto dalla Siria assieme a sua sorella Susanna per fare apostolato in Sabina dove sarebbe stato eletto vescovo; ma egli stesso lascerà presto questo incarico per divenire monaco e si dedicherà alla fondazione di questo luogo ricco di spiritualità, contraddistinto da tre cipressi di grande altezza. Al momento della morte di San Lorenzo, avvenuta verso la fine del VI secolo, il monastero ebbe a soffrire la completa devastazione e l'abbandono per il sopraggiungere dei Longobardi, ma San Tommaso da Moriana, monaco proveniente dalla Savoia, a seguito di una visione della Madonna avvenuta presso Gerusalemme, come attesta la tradizione, riuscì a ritrovare i resti del luogo a lei dedicato, contrassegnato dagli stessi tre cipressi. Finalmente l'antica chiesa, ormai in rovina, ebbe nuova vita nel 680, sotto la protezione del duca di Spoleto Faroaldo II, il quale offrì terreni e fabbricati. È proprio grazie a San Tommaso che a Farfa si iniziò un periodo di profonda ripresa: oltre alla bonifica dei terreni, il patrimonio abbaziale si allargò in maniera talmente considerevole al punto che papi, duchi, re e gastaldi elargirono grandi esenzioni e privilegi, sì che Farfa divenne in poco tempo un'entità economicamente e politicamente potente. San Tommaso morì nel 720, dopo quarant'anni di reggenza del monastero farfense e proprio qui fu sepolto. Nel 774, al momento in cui si inasprirono le tensioni tra franchi e longobardi, l'abate di origini sabine Probato cercò in ogni modo di smussarne i contrasti ponendosi come mediatore tra Carlo Magno e Desiderio ma, vista l'ostinazione del re longobardo, Farfa appoggiò il sovrano carolingio, il quale, al momento della vittoria, pose lo stesso monastero sotto la sua speciale protezione concedendogli due diplomi di immunità e rendendolo esente da qualsiasi giurisdizione, tanto civile quanto religiosa. Lo stesso Carlo Magno nell'Ottocento, tra il 22 e il 23 novembre sostò in monastero durante il suo viaggio verso Roma, lasciando come donazione un cofanetto d'oro adornato con pietre preziose, scomparso poi nel corso del tempo. Nell'anno 822, durante l'abbaziato di Ingoaldo, il monastero, dichiarato nel frattempo abbazia imperiale, possedeva per esercitare il commercio una nave esentata dai dazi dei porti dell'impero carolingio oltre che ovviamente vasti possedimenti tra cui Palazzo Madama, oggi sede del Senato della Repubblica Italiana, i territori dell'Ascolano, del Fermano, della Marsica, dell'odierno Aquilano, della Tuscia, del Ternano, della valle del Turano, del Chietino, i territori di Spoleto e di Assisi e persino città nei pressi di Pavia. Ma la prosperità raggiunta in questo periodo da Farfa fu nuovamente minacciata a causa dell'incursione dei saraceni, che dalla Sicilia si sparsero per tutta l'Italia. Il monastero di Farfa riuscì a resistere per sette lunghi anni all'assedio ma poi, inevitabilmente, dovette cedere. I monaci infatti, una volta abbandonato il luogo, nell'anno 898 si rifugiarono in tre rispettive città: Roma, Rieti e il territorio di Fermo. I Saraceni installarono nell'abbazia il loro quartier generale. Quando i Saraceni abbandonarono il luogo, sopraggiunsero dei manigoldi il cui intento principale era quello di fare bottino ma, spaventati da alcuni rumori improvvisi, appiccarono un incendio per poi fuggire. Vinti presso il fiume Garigliano nel 915 i Saraceni abbandonarono l'Italia e, di conseguenza, i dispersi monaci farfensi poterono tornare al loro monastero; ma non tornò l'abate Pietro, poiché morì nelle Marche nel 919. Il successore, l'abate Ratfredo, con un governo energico e al tempo stesso saggio, poté nuovamente ristabilire la disciplina monastica, ricostruire gli edifici distrutti e recuperare il patrimonio abbaziale. Morì nel 936. Farfa attraversò per sessant'anni un profondo periodo di decadenza poiché del resto anche la Chiesa versava in tristissime condizioni sia in ambito materiale che spirituale; ma, trascorso questo lasso di tempo, grazie all'intervento tempestivo dell'abate Ugo I, il monastero farfense poté sorgere a nuova vita. Egli, infatti, riuscì a rinvigorire lo spirito monastico, ristabilire la disciplina e far rifiorire Farfa anche materialmente: essa, infatti, era un piccolo stato con il suo esercito e i suoi servi, aveva persino scuole, officine, ospizi per i pellegrini e la sua farmacia, i cui prodotti venivano distribuiti gratuitamente ai meno abbienti. Tutto ciò, grazie alla riforma cluniacense, movimento che dapprima rinnovò l'ordine benedettino e poi si estese a tutta la Chiesa cattolica. Esso ebbe la sua origine nell'abbazia benedettina di Cluny, in Borgogna, il cui abate di quel tempo fu Sant'Odilone. È proprio quest'ultimo, infatti, che riuscì a convincere l'abate Ugo I ad introdurre anche a Farfa le consuetudini cluniacensi da cui sortirono memorabili effetti. Ugo morì nel 1038 e la sua scomparsa comportò un enorme periodo di vuoto per Farfa; infatti soltanto nove anni dopo, nel 1047, si ebbe un degno continuatore: Berardo I, già suo discepolo. Nel periodo della lotta per le investiture egli fu costretto dalle particolari condizioni del monastero farfense a schierarsi con l'imperatore Enrico IV, suscitando aspri rimproveri da parte di Papa Gregorio VII. Tale conflitto terminò con la stipula del concordato di Worms, avvenuta nel 1122; Farfa, di conseguenza, non fu più posta sotto la tutela imperiale, ma sotto quella pontificia. Le sue condizioni però non migliorarono, nonostante i vari interventi dei Papi e dei Concili, finché, nella speranza di arginare tale periodo di declino, si giunse alla Commenda che costituì una misura davvero drastica e che, allo stesso tempo, non apportò grandi benefici. Durante il periodo di reggenza in Abbazia, l'abate Berardo accolse in monastero Gregorio da Catino il quale lo iniziò verso studi sacri e profani. Quest'ultimo si dedicò con grande interesse allo studio della storia di Farfa, il cui archivio gli offriva abbondante materiale; si impegnò proficuamente nel trascrivere le bolle papali, i diplomi imperiali e gli atti di donazione. Monumento imperituro della sua operosità rimangono il Regesto di Farfa, il Chronicon, il Liber Largitorius e il Floriger. A Farfa tra i più conosciuti abati commendatari fu il cardinal Francesco Carbone Tomacelli, nipote di Papa Bonifacio IX. A lui si deve un tentativo di riforma con l'introduzione di un gruppo di monaci teutonici provenienti da Subiaco, dove avevano ottenuto ottimi risultati. Gli Orsini ebbero la Commenda farfense fino agli inizi del '500. La loro memoria resta ancora oggi nell'odierna Basilica da essi edificata nel 1494 e consacrata il 25 marzo 1496. Sotto Giulio II e Leone X la Commenda farfense passò in mano alla famiglia Della Rovere, per poi tornare ben presto agli Orsini e successivamente ai Farnese. Sotto il cardinale Alessandro Farnese il monastero fu aggregato alla Congregazione Cassinese nel 1567. Purtroppo la Commenda non fu abolita completamente; il cardinal Farnese, infatti, mantenne la giurisdizione civile e religiosa, pur concedendo ai monaci piena autonomia sotto il governo dell'abate claustrale.Nel 1798 sopraggiunse la soppressione napoleonica e nel 1861 quella italiana (legge Pepoli) a dare l'ennesimo colpo di grazia. I beni ancora rimasti passarono al demanio e il borgo assieme ad una parte del monastero furono venduti a privati cittadini. Alcuni monaci rimasero in qualità di custodi. Il Conte di Misurata Giuseppe Volpi (1877-1947) cedette ai monaci la parte del monastero ed un terreno in suo possesso. La restante parte del monastero rimase patrimonio del F.E.C. (Fondo Edifici di Culto) presso il Ministero dell'Interno. Dal 1895 al 1912 il Beato Placido Riccardi fu nominato rettore della Basilica di Farfa; egli morì nel 1915 e fu beatificato da Pio XII il 5 dicembre 1954. Nel 1920 un gruppo di monaci dell'Abbazia di San Paolo Fuori le Mura inviati dall'Abate (poi Cardinale) Alfredo Ildefonso Schuster (deceduto nel 1954 e beatificato da Giovanni Paolo II nel 1996) ripopolò il monastero di Farfa che al giorno d'oggi, dopo essere stata casa dipendente, è monastero "sui juris" governato dal Priore conventuale (https://www.abbaziadifarfa.it/abbazia/storia)
- TIPOLOGIA SCHEDA Modulo informativo
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Stato
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 12-ICCD_MODI_6739077288271
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
- ENTE SCHEDATORE Pontificia Facoltà Teologica "Marianum"
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DOCUMENTAZIONE ALLEGATA
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- LICENZA METADATI CC-BY 4.0