Su Coddu (insediamento villaggio)

Selargius, ca III mill. a.C - ca 2100 a.C

Il sito di Su Coddu (= il colle), ricadente in area ormai urbanizzata, è uno dei più conosciuti ed interessanti insediamenti prenuragici sia per l’estensione che per la singolarità di alcuni rinvenimenti che hanno consentito di conoscere meglio il contesto dell’origine della lavorazione dei metalli (rame e argento) in Sardegna, oltre alle considerevoli attestazioni di ceramica figulina dipinta ascritta alla fase sub-Ozieri. La scoperta avvenne intorno alla metà degli anni ’60 dello scorso secolo in seguito a sbancamenti per una lottizzazione edilizia. In questa occasione vennero individuati alcuni fondi di capanne che restituirono ceramiche riferite a momenti di transizione Ozieri-Monte Claro, ossidiana e una punta di daga in puro rame. Il sito ha restituito una quantità rilevante di strutture insediative (edite finora 130), talune sub aeree, altre completamente ipogee, prive di muratura, interpretate come capanne, pozzi, silos, focolari. Delle capanne si conservavano i tagli, più o meno profondi, realizzati nel morbido bancone di argilla di cui è costituita gran parte della zona, con i relativi riempimenti formatisi sia durante le fasi di utilizzo che al momento dell’abbandono. Si trattava infatti di strutture seminterrate con una copertura a intelaiatura lignea poggiata direttamente sul terreno vegetale, dal momento che non sono state evidenziate buche da palo. La maggior parte delle capanne presenta una struttura monocellulare, variabile per planimetria e dimensioni, con in prevalenza contorni ovali e reniformi. Talvolta la forma delle capanne è bilobata, più raramente polilobata, in alcuni casi esse raggiungono una ampiezza e articolazione tale da far supporre la presenza di diversi gruppi familiari all’ interno di una sola di queste, anche in considerazione dell’esistenza di vari focolari. Talvolta i focolari stanno all’esterno, inseriti negli spazi di disimpegno tra le strutture. In qualche caso, prossimi alle capanne e sempre all’esterno, sono stati individuati dei forni, realizzati con lo scavo nel bancone di argilla di una cavità cilindrica abbastanza profonda. I piani pavimentali, localizzati a circa m 0,40-0,50 dalla superficie, all’interno della stessa struttura, presentano quote sfalsate e sono spesso mossi da avvallamenti irregolari e da buche di modeste dimensioni mentre sulle pareti, in alcuni casi ancora rivestite di argilla, si aprono delle nicchie . Il focolare, sempre distinto da unica chiazza cinerognola, è costituito da una fossa circolare, profonda circa m 0,50, colma di ceneri frammiste a piccole pietre concotte e annerite dai carboni. L’approvvigionamento idrico avveniva tramite lo scavo di pozzi (profondità fino a m 6), utilizzati anche come cave di argilla, realizzati ad anelli sfalsati che vanno restringendosi in direzione del fondo, per consentire di attingere l’acqua direttamente dalla falda, evitando così la possibilità di smottamenti laterali. Secondo l’ipotesi di alcuni studiosi, per alcune di queste strutture, non si esclude un originario utilizzo rituale considerato il binomio cavità-acqua e la posizione nel punto più alto del villaggio. Indicazioni della presenza di un luogo legato al culto sono dati dal rinvenimento, all’interno della Struttura 96, di frammenti di mattoni parallelepipedi in fango e paglia in associazione con due statuine femminili frammentarie, in terracotta, a placchetta cruciforme. Potrebbe trattarsi di un edificio a muri rettilinei, con probabile zoccolo in pietra, forse un sacello dedicato ad un culto della Dea Madre, non molto lontano dalla stessa struttura 96. Gli strati terrosi misti a cenere all’interno delle capanne e dei pozzi hanno restituito vasellame frammentario e resti di pasto (valve di molluschi marini, mitili, cardium, murici, echinidi, in minori quantità ossa animali relative a bovini e suini, più limitatamente a ovini) interpretati come materiale di deposito, accumulato generalmente dopo l’abbandono delle strutture, relativo a materiali di rifiuto delle capanne circostanti. Tali dati indicano, a livello economico, il tenore di vita condotto dagli abitanti di Su Coddu che doveva essere abbastanza modesto, legato all’agricoltura e alla caccia. In controtendenza si mostra invece la presenza, seppure limitata, di manufatti in argento e rame e, fatto ancora più straordinario, il rinvenimento di scorie di fusione che anticipano alla fine del IV millennio la conoscenza delle tecniche della metallurgia in Sardegna. Il passaggio alla fase sub-Ozieri è segnato invece da notevoli cambiamenti evidenti nella struttura delle capanne caratterizzate dalla presenza di un gradino di accesso posto su un lato e dall’uso di una cella con funzione di silos ubicata al di sotto del piano terra, nella tipologia e ubicazione dei pozzi, nelle nuove caratteristiche tecniche dei manufatti ceramici. Specifica di questa fase è la ceramica sub figulina dal corpo ceramico giallino, dipinta a vernice rossa con motivi geometrici, le cui forme più frequenti sono le fiasche e i vasi a collo con ansa a tunnel, l’attestazione delle quali ha permesso di isolare per la prima volta la facies sub Ozieri che alcuni vorrebbero indicare proprio come facies di Su Coddu. Il passaggio tra le due facies di Ozieri è caratterizzato dalla diffusione dei prodotti e della tecnica metallurgica inversamente proporzionale alla crisi dell’industria litica attestata da pochi utensili di ossidiana. Le consistenti attestazioni di fusaiole e pesi da telaio rinvenuti nel sito sono sintomo di un rinnovato interesse per l’attività tessile mentre vi è un indebolimento delle attività agricole a vantaggio dell’allevamento ovicaprino, suggerito dal fatto che è stato rinvenuto un numero di ossa ovine e caprine superiore rispetto a quelle di suini e bovini

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