RESTI DEL PONTE ROMANO DETTO "PONTE VECCHIO" (ponte, infrastruttura viaria)

Ivrea, Eta' romana imperiale inizio

In epoca romana la Dora Baltea non seguiva il corso odierno, ma era divisa in due bracci, quello principale tagliava la pianura ad ovest di Ivrea ed è tuttora visibile come Rio Ribes, mentre un secondo braccio seguiva il corso ora principale della Dora. Su questo fiume, nel punto più stretto al margine occidentale della città, ed in corrispondenza del decumanus maximus, i Romani costruirono un ponte in pietra, che collegava Eporedia alla strada diretta ad Augusta Taurinorum, il cui tracciato è indicato da una vasta area sepolcrale rinvenuta non lontano dal passaggio. Il ponte, attualmente in uso insieme al Ponte Nuovo, 100 m. più a valle, è noto come Ponte Vecchio, Ponte Romano o Ponte Canavese (in passato costituiva l'inizio della strada che conduceva verso questa regione). Sebbene fortemente rimaneggiato a seguito delle distruzioni e ricostruzioni succedutosi nel corso dei secoli, è verosimile che anche in età romana il ponte superasse la stretta gola per mezzo di due arcate asimmetriche, una maggiore a tutto sesto (luce 14 m.) sul filone principale della corrente - ovvero sul punto di maggiore pressione ed erosione esercitata dall'acqua- fra la spalla destra e lo scoglio roccioso, ed una minore (luce di 7,5 m.), sempre a tutto sesto, sul braccio moderato della corrente, fra scoglio e spalla sinistra. Le due arcate convergevano su un'unica pila, fondata direttamente sulla roccia viva dello scoglio, la cui frastagliata superficie era stata adattata attraverso opportuni livellamenti, e dotata di un solo rostro sul lato a monte; è possibile che in origine vi fosse un rostro anche a valle, non più visibile dopo l'allargamento del ponte voluto da Carlo Felice nel 1830. La roccia di base inoltre era stata precedentemente scolpita per evitare l'effetto tappo durante le piene del fiume. Spalle e pila erano in origine in calcare locale lavorato in opus quadratum, come dimostrano i resti di blocchi conservati nelle parti inferiori del manufatto. Le arcate e tutti gli elementi della sovrastruttura, nonostante l'utilizzo di lateres nel corpo edilizio, non sono di età romana, ma sono da riferire a ricostruzioni successive. É possibile che in principio le arcate fossero costituite da cunei di calcare, analogamente agli esemplari di ponti romani che si incontrano in Val d'Aosta, i quali condividono con il ponte di Eporedia il medesimo progetto strutturale. I continui lavori di manutenzione sul manufatto hanno indotto la Soprintendenza ad effettuare campagne di rilievo e studio delle strutture e del profilo dell'alveo nel 1992 e 1993-94, rivelando la presenza di ricchi depositi archeologici protrattisi per due millenni, a testimonianza dell'obbligatorietà del passaggio in un punto naturalmente idoneo ad ospitare una struttura di valicamento. Durante la magra invernale del 1994, prospezioni nell'alveo hanno consentito di individuare quanto si conservava di piccoli pontili o piarde di accesso a mulini natanti, situati immediatamente a monte del ponte, dove l'accelerazione della corrente facilitava il lavoro delle macchine. La scoperta, nel 1977, dei resti di un altro ponte 470 m. più a valle, sul Naviglio d'Ivrea, ha rivelato come la città fosse collegata al versante destro della Dora attraverso una struttura di dimensioni monumentali, edificata in corrispondenza del cardo maximus e del tracciato della strada che congiungeva Eporedia all'asse Ticinum – Augusta Taurinorum. In seguito all'alluvione del 1993 e al conseguente basso regime idrico imposto, si rese possibile l'indagine archeologica dei resti giacenti sul greto del fiume, che ha permesso di ricostruire una struttura lunga 150 m., larga più di 6, con 10 arcate su 11 piedritti in opus quadratum, fondati su palificate di costipamento infisse nel letto sabbioso del fiume

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