La città in festa!

Le piazze e le vie di Roma offrono quinte spettacolari per cerimonie solenni e divertimenti
a cura di Alessandra Karshan

La Roma della renovatio urbis promossa dai papi dell'Umaniesimo è anche la città delle feste destinata, per la sua storia e per la magnificenza dei monumenti antichi e moderni, a diventare quel "Gran Teatro del mondo" di cui parlanno letterati e viaggiatori nel Seicento. Fu il papa spagnolo Alessandro VI Borgia sul crinale del Cinquecento a rivitalizzare le feste romane, percependo il loro potenziale politico e di ricerca del consenso presso tutte le classi sociali, con l'inaugurazione del Giubileo nel Natale del 1499 e l'organizzazione di innumerevoli giostre, corride, trionfi all'antica per il figlio prediletto Cesare e giochi di ogni tipo, persino in Piazza san Pietro...  Il Museo di Roma offre una vetrina affascinante ed esaustiva di questo particolare aspetto della vita dei romani, attraverso una raccolta di dipinti di genere che ci documentano le principali feste cittadine, sacre e profane, dal XVII secolo all'Unità d'Italia, i giochi prediletti dal popolo come dall'aristocrazia, le carnevalate, i vizi, le scampagnate degli artisti e le danze delle contadine dopo le fatiche dei campi perchè ogni occasione, ieri come oggi, è buona per far festa!

Ippolito Caffi, La Festa dei Moccoletti (Il carnevale a Roma), 1852, olio su tela, 64,5x80 cm, Museo di Roma, 1200489389 Catalogo Generale dei Beni Culturali
Ippolito Caffi, La Festa dei Moccoletti (Il carnevale a Roma), 1852, olio su tela, 64,5x80 cm, Museo di Roma, 1200489389

dal Catalogo

Nella capitale della Cristianità la festa religiosa era particolarmente sentita e accompagnava con grande solennità tutte le fasi di vita del Papato, dalla cerimonia del trapasso, all'elezione del nuovo pontefice nel Conclave fino al "possesso papale", la grandiosa cerimonia di insediazione del nuovo papa che, come in un trionfo imperiale, attraversava tutta la città con il seguito di porporati dal Vaticano alla sede vescovile del Palazzo Laterano, salutando e benedicendo la folla. Ma il calendario liturgico era scandito da numerose ricorrenze e processioni, come quella del Corpus Domini rappresentata da un ignoto pittore del Seicento: prima che Bernini sistemasse la piazza con le due 'braccia aperte' del colonnato, era necessario montare tende provvisorie per proteggere i pellegrini dalle intemperie.

Una grande festa non era mai improvvisata ma prevedeva un'articolata fase preparatoria e igenti investimenti di denaro da parte del soggetto promotore, sempre un pesonaggio politico di spicco, dal momento che servivano uno o più letterati per la stesura del programma, architetti e ingegneri per la progettazione degli apparati effimeri, palchi, carrozze da parata, macchine per gli effetti speciali e ancora artisti, stuccatori e artigiani per i costumie e le decorazioni. Il risultato era uno stupefacente apparato pensile in legno, tessuti preziosi e cartapesta che andava a poggiarsi sulla città reale, con le sue piazze e i suoi monumenti, moltiplicando l'effetto di meraviglia agli occhi dei visitatori e costituendo al contempo un'eccezionale palestra di sperimentazioni a breve termine per gli architetti barocchi, da Pietro da Cortona a Lorenzo Bernini. E' emblematico il caso dell'arco di trionfo provvisorio da quest'ultimo eretto a Piazza del Popolo per accogliere l'ingresso nella capitale della regina Cristina di Svezia il 23 dicembre 1655, poi reso permanente nella grandiosa Porta del Popolo che doveva riqualificare un'aria ancora periferica e campestre di Roma per volontà di Alessandro VII Chigi. Sempre in onore di Cristina di Svezia il cardinale Antonio Barberini, nipote di Urbano VIII, aveva organizzato uno spettacolare carosello nel cortile del suo palazzo la notte del 28 febbraio 1656, immortalato nella grande tela dello stesso anno di Gagliardi e Lauro con una particolare minuzia descrittiva per personaggi e i costumi di scena, appositamente disegnati da Giovan Francesco Grimaldi. La presenza della regina tra gli spalti ci conferma che questa volta l'ospite fu presente alla festa, diversamente da quato era accaduto anni prima sempre allo stesso cardinale Barberini, che nel Carnevale del 1634 aveva organizzato la spettacolare Giostra del Saracino a Piazza Navona ammirata e citata da tutte le cronache del tempo in onore del principe Alessandro Carlo di Polonia il quale, all'ultimo momento, non poté essere presente. Il grande quadro realizzato a più mani da Filippo Gagliardi per le architetture, Andrea Sacchi per le figure e Vincent Leckerbetien per i cavalli, documenta la solennità e la pompa dell'evento in cui furono coinvolti architetti, artisti e letterati tra cui il cardinale Guido Bentivolglio, che ne scrisse la relazione conclusiva nel 1635. Il quadro precede di pochi decenni la trasformazione urbanistica della grande piazza romana voluta dal papa Innocenzo X Pamphili nella metà del secolo (con il palazzo di famigia, Sant'Agnese in Agone e la celebre fontana), offrendoci quel luogo iconico del Barocco romano in una veste poco familiare per l'assenza dell'obelisco che sormonta la Fontana dei Quattro Fiumi, terminata da Bernini nel 1651. Forse risale ad un'idea dello stesso scultore il ricorrente allagamento della piazza durante la stagione estiva, riprodotto in una delle schede di catalogo selezionate della metà dell'Ottocento. Nel suo Diario del 23 giugno 1652 Giacinto Gigli ci testimonia le prime prove di allagamento sotto il papato di Innocenzo X: «In questo tempo in piazza Navona, a pié della Guglia et delle fontane, fu aggiustata l'acqua che a beneplacito formava un lago sopra la terra et serviva per spasso delle carrozze che vi passavano sopra». Nel gran lago della piazza il principe Pamphili si muoveva in un calesse a forma di godola mentre il popolo romano faceva il bagno e si rinfrescava dalle calure estive in una tradizione che rinnovava il genere teatrale antico della naumachia e che scongiurava al contempo le periodiche e violente inondazioni del Tevere prima della costruzione degli argini in età post unitaria. L'ultimo lago di piazza Navona è documentato nel 1865, poi questa tradizione fu soppressa e la pavimentazione ricostruita con un andamneto convesso. In un gioco di rispecchiamenti che rende reale e protagonista ciò le opere mostrano, Piazza Navona appare in tutto il suo splendore dagli affacci al secondo e al terzo piano di palazzo Braschi, documentando un legame indossolubile tra la storia di quell'edificio e la città.

 

Le piazze del Centro forniscono quinte spettacolari per la settimana più attesa dell'anno, quella del Carnevale, che costuisce anche un importante filone di produzione popolare per artisti e incisori. Il Museo di Roma conserva numerose opere ispirate al Carnevale di ambito italiano e olandese che vanno dal Seicento fino alla fine del XIX secolo, testimoniandoci i momenti più attesi e partecipati dalla folla quando gli scherzi, gli eccessi e l'ironia dei travestimenti attenuavavano almeno per qualche giorno le differenze di classe. Le parole di Goethe registarte nel 1788 nel suo diaro del Viaggio in Italia suggeriscono con efficacia l'atmosfera che si respirava durante la festa: «Il Carnevale di Roma non è una festa che si offre al popolo, bensì una festa che il popolo offre a se stesso... a differenza delle feste religiose di Roma, il Carnevale non abbaglia lo sguardo: non ci sono fuochi d'artificio, né illuminazioni, né brillanti processioni. Tutto ciò che accade è che, ad un dato segnale, tutti hanno il permesso di essere pazzi e folli come gli piace, e quasi tutto, tranne i pugni e le pugnalate, è lecito». Tra gli spettacoli più attesi c'era la tradizionale corsa dei cavalli berberi che si svolgeva tutte le sere con partenza da Porta del Popolo fino a Piazza Venezia attraversando il Corso, dipinta tra gli altri dall'olandese Jan Miel (metà del XVII secolo), da Bartolomeo Pinelli in un raro dipinto ad olio dove si distinguono le maschere del Carnevale romano e napoletano accanto ai costumi tradizionali del contado laziale, e dall'ignoto artista di ambito romano qui riprodotto nella scheda di catalgo (1840-1860 ca), che ferma l'attimo della corsa lungo la via all'altezza della chiesa dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso in uno stile di fugace impressione che risente del puntinismo francese, moltiplicando l'effetto dei coriandoli lanciati dalle mascere di Arlecchino. La suggestiva tempera di Ippolito Caffi datata verso la metà dell XIX secolo e riprodotta ben 41 volte dall'artista per soddisfare il mercato, immortala l'ultima sera del martedì grasso, quando i romani scendevano per le vie ognuno con la propria candela (il "moccoletto") e il gioco consisteva nel spegnere quella degli altri mantenendo il più possibile la propria fiaccoletta accesa.

Scorrendo velocemente il calendario, arriviamo alla festa di origini pagane del Calendimaggio quando, ogni primo di maggio, si celebrava l'arrivo della primavera e sul Campidoglio si montava il cosidetto "Albero della Cuccagna" colmo di doni e cibi prelibati, come si vede nel quadro di Agostino Tassi (1632 ca), ma per conquistare i suoi frutti bisognava superare l'arrampicata del fusto resa ostile da sostanze scivolose e appiccicose.

 

Se la festa ufficale seguiva il calendario liturgico, durante il resto dell'anno il popolo romano trascorreva il tempo libero nelle osterie, bevendo, cantando e spesso dandosi ai giochi d'azzardo come la morra, che abbiamo visto protagonista dell'azione dei due giocatori nella terracotta di Bartolomeo Pinelli; questo tipo di giochi come anche le carte erano osteggiate dalla Chiesa perchè causa di debiti e risse, mentre si favorivano competizioni sportive più salutari come il gioco delle bocce e la pallacorda praticate da tutte le classi sociali. Il gioco delle bocce è protagonista del quadro di ambito fiammingo del secondo quarto del Seicento ambientato alle falde del Gianicolo, che ci offre anche un bel panorma di questa zona di Roma con il Castello e San Pietro visibili in lontananza. Gli aristocratici organizzavano le partite direttamente nel cortile dei propri palazzi nobiliari, come ci mostrano due quadri della collezione Rospigliosi: nella partita dipinta da Adrien Manglard nel 1740 ca il giovane principe Camillo fa sfoggio anche dei suoi bellissimi purosangue, forse per far colpo sulle due dame straniere invitate per l'occasione, mentre altri personaggi assistono dalla terrazza fatta costruire appositamente come spalto; nella seconda tela dipinta da Johan Reder i padroni di casa hanno organizzato addirittura una giostra di tori nella propria tenuta della Magliana. Il popolo non ammesso a queste feste private trovava i suoi passatempi tra le strade della città, nei teatrini improvvisati come quello che si vede nella tela di ambito fiammingo ambientata proprio a Piazza Pasquino, riconsocibile dalla clebre statua parlante addossata all'angolo dell'antico palazzo Orsini; oppure, trovava diletto in campagna, soprattutto nelle ottobrate romane durante il periodo della vendemmia che era salutato con pranzi in compagnia e ballando la danza tipica delle vendemmiatrici chiamata "il Saltarello", che è la protagonista assoluta dell'intrigante scena quasi dionisiaca ambientata a Piazza Barberini di Bartolomeo Pinelli del 1821.

 

Vorrei concludere questa carrellata con una festa ancora molto sentita dai romani, la Festa dei patroni SS. Petro e Paolo del 29 giugno che ha il suo momento culminante nella "Girandola" di Castel Sant'Angelo,«quando il Castello vomitava fuochi d'artificio in una gioiosa parodia dei cannoni» (Marcello Fagiolo). Si tratta dello spettacolo pirotecnico più atteso dell'anno che fin dal Rinascimento affascinava viaggiatori, poeti e artisti stranieri che hanno lasciato versi e bellissimi dipinti come quello di Jacob Philipp Hackert del 1775 qui riprodotto. Una tradizione che continua ininterrotta fino ai nostri giorni e che giunge nel 2023 alla sua XVI edizione promossa dalla Direzione Musei Statali di Roma in collaborazione con Roma Capitale (chi non era presente quella sera può godersi lo spettacolo nel video in allegato).

 

Attraverso le collezioni del Museo di Roma i turisti stranieri scoprono le bellezze antiche e moderne della città insieme a qualche suo 'segreto' e curiosità, rinnovando l'usanza del viaggio culturale del Grand Tour, mentre i romani che vivono da sempre quelle strade e quelle piazze solcate da milleni di storia riscoprono qualcosa di se stessi e delle loro tradizioni cittadine.

Andrea Sacchi, Filippo Gagliardi, Vincent Leckerbetien, Giostra del Saracino a Piazza Navona nel Carnevale del 25 febbraio 1634, 1634-1644, olio su tela, 300x220 cm, Museo di Roma Museo di Roma
Andrea Sacchi, Filippo Gagliardi, Vincent Leckerbetien, Giostra del Saracino a Piazza Navona nel Carnevale del 25 febbraio 1634, 1634-1644, olio su tela, 300x220 cm, Museo di Roma

Filippo Gagliardi, Filippo Lauri, Carosello a Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia, 1656, 231x340 cm, olio su tela, Museo di Roma Wikimedia Commons
Filippo Gagliardi, Filippo Lauri, Carosello a Palazzo Barberini in onore di Cristina di Svezia, 1656, 231x340 cm, olio su tela, Museo di Roma

Jacob Philipp Hackert, Girandola a Castel Sant'Angelo, 1775,  44 x 58 cm, gouache, Graphische Sammlungen Wikimedia Commons
Jacob Philipp Hackert, Girandola a Castel Sant'Angelo, 1775, 44 x 58 cm, gouache, Graphische Sammlungen