Santi Giovanni Battista, Paolo (incoronato da un angelo) e Sebastiano

dipinto, 1515 - 1519

Pala d'altare con cornice

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a tempera/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Bonsignori Francesco (1460 Ca./ 1519)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo Ducale
  • INDIRIZZO Piazza Sordello, 40, Mantova (MN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La pala - solitamente indicata come di ignota provenienza - si trovava nella chiesa di San Domenico (BERZAGHI 1992, p. 83), ma ignoriamo purtroppo su quale altare. Il dipinto è infatti indicato nell'inventario del 1803 (App. 6, n. 160) del palazzo Ducale, come proveniente dai "Domenicani", e qui in seguito è sempre rimasto. In quella chiesa, il visitatore apostolico del 1576 segnala il titolo degli altari, tra i quali uno dedicato a San Giovanni Battista, di patronato dei Mastini e "habens iconam minus condecentem" e da sostituire (ms. PERUZZI 1575-1576, c. 368r), e un altare "sub titulo Apostolorum" (c. 367v) che però è ancora da ornare. L'iconografia dell'opera, che rappresenta san Paolo al centro assieme ad altri due santi anch'essi morti decollati, Giovanni Battista e Sebastiano, non contraddice una provenienza domenicana. L'attività missonaria del santo di Tarso è un modello per i frati Predicatori e giustifica pertanto la sua centralità in opere su committenza domenicana, circa coeve alla nostra, come la pala riferita a Francesco Morone in Sant'Anastasia a Verona e quella di Vittore Carpaccio per San Domenico a Chioggia. Un ampio elenco di attestazioni di san Paolo al centro di pale, in area di diffusione della cultura veneta nel primo Cinquecento, è fornito dalla FORLANI TEMPESTI (1991, pp. 79 e 81 nota 3). Al santo di Tarso spetta un ruolo importante nella religiosità del primo Cinquecento, per quanto riguarda la "questione, tanto pratico-teologica quanto storico-devozionale, riguardante il significato che le opere buone e devote hanno nel raggiungimento della beatitudine" (BERGER 2003, p. 141). Piuttosto rara l'iconografia di san Paolo incoronato, ma nel dipinto veronese appena citato tre corone calano sul capo del santo. L'iter attributivo del nostro dipinto è piuttosto travagliato: citato per la prima volta da INTRA nel 1883 (p. 23), senza riferimenti in merito, è segnalato da BERENSON (1907, p. 189) come opera di Gian Francesco Caroto (in seguito lo stesso BERENSON 1936, p. 113, ne dubiterà, per poi confermare invece l'attribuzione: BERENSON 1968, I, p. 79). VENTURI (1901-1940, VII/3 (1914), p. 476) lo attribuisce invece ad Antonio da Pavia (pur con un riferimento un po' criptico: "Tra le guaste tele del castello si possono ancora notare tre Santi suoi, fra i quali San Paolo e San Sebastiano"). Anche se FIOCCO (1915) non include l'opera nel suo elenco di dipinti di Caroto, la proposta di Berenson è accolta, seppure con un margine di dubbio, da OZZOLA (1946, p. 8 n. 15; 1949, n. 29; 1953, n. 29) e dalla PERINA (1961b, p. 372), la quale lo data al secondo decennio. Vi sono poi due descrizioni che si possono dubitativamente riferire alla nostra pala: la "grande tela raffigurante S. Sebastiano con altri Santi e varie figure, attribuita a Lorenzo Costa il vecchio", indicata da COTTAFAVI (1926, p. 469), e una tela di Caroto in Castello, ma di proprietà comunale, citata da GIANNANTONI (1929, p. 114). Ragghianti, sulla sua copia del catalogo di Ozzola (Lucca, Fondazione Ragghianti), depenna il punto interrogativo dopo il nome di Caroto, del quale è evidentemente convinto. DEL BRAVO (1964, p. 9) mantiene l'attribuzione a Caroto ma con una cronologia posteriore al periodo in Monferrato e quindi intorno al 1519-1520; nota strette affinità - soprattutto nella resa del panneggio, praticamente identico - tra il san Sebastiano di questa pala e quello dipinto da Francesco Bonsignori in Santa Maria delle Grazie di Curtatone e ritiene che quest'ultimo dipinto sia il modello cui Caroto si è attenuto. La questione è ribaltata dalla FRANCO FIORIO (1971, p. 119) che esclude l'attribuzione a Caroto e ritiene la nostra pala molto più prossima ai modi di Bonsignori. In seguito Marchiori insiste sul nome di Caroto (in BRUGNOLI 1974, p. 170), mentre la CUPPINI (1981, p. 474 nota 1) la crede "del Bonsignori". Piva (in Dal Correggio a Giulio Romano 1989, p. 159) giudica l'opera un punto d'incontro tra l'Antonio da Pavia del secondo decennio, un affresco di soggetto eucaristico in San Leonardo e la grottesca pala di Redondesco, talvolta attribuita a Caroto (ma giustamente espunta da M. Danieli, in Mantegna a Mantova 2006, p. 194 n. 64). MARINELLI (1990, p. 641), BERZAGHI (1992, p. 83), TEMPESTINI (1993, p. 28) e Peretti (in Mantegna e le Arti a Verona 2006b, p. 39; in Museo di Castelvecchio 2010, pp. 249 e 251) ribadiscono che si tratta di Francesco Bonsignori, come penso anch'io (L'OCCASO 2002, p. 67), mentre CONTI (1995, p. 48-49 nota 19) crede che la pala possa spettare ad Antonio da Pavia, in un momento di riflessione sui modi di Caroto: l'ipotesi è messa in dubbio da Tanzi (in Ioanes Ispanus 2000, p. 100). La FORLANI TEMPESTI nel 1991 (p. 81 nota 3) e MORO nel 1995 (p. 63 nota 12) tornano sul nome di Caroto e il secondo propone un accostamento al momento dei Tre arcangeli del Museo Cavalcaselle o della Madonna col Bambino di Francoforte, opere databili entro il 1510 ca.; lo segue nell'attribuzione CONTINUA IN OSS
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0300151970
  • NUMERO D'INVENTARIO St. 673
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Palazzo Ducale di Mantova
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Mantova Brescia e Cremona
  • DATA DI COMPILAZIONE 2010
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2009
    2013
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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