Santuario di Iside / Area della Basilica di Santo Stefano

101 a.C. ca.-450 d.C. ca.

L'esistenza di un santuario eretto in onore di Iside, che si sviluppò tra il II e il III sec. d.C., è testimoniata da un'iscrizione su lastra marmorea relativa ad un’opera promossa in onore della Domina Isis Victrix. Rinvenuta nel Medioevo nei pressi di Piazza Santo Stefano, la targa è tuttora murata sul fianco destro della chiesa dei SS. Pietro e Paolo, entro la Basilica di Santo Stefano. Il complesso stefaniano, voluto dal vescovo Petronio, comprende edifici di culto di epoche diverse, tra cui la chiesa dei SS. Vitale e Agricola, con i sarcofagi dei protomartiri, e il Santo Sepolcro, ispirato al luogo santo di Gerusalemme e prima sede delle spoglie del santo protettore della città. Per quanto sia stata posta in discussione l'identificazione topografica tra l’edificio di culto egizio e il più tardo complesso stefaniano, nel quale peraltro sono stati reimpiegati numerosi elementi architettonici romani, forse anche nella loro collocazione originaria, la presenza di una grande fondazione muraria perimetrale in laterizi e blocchi di arenaria, orientata di fronte alla chiesa del Crocifisso, e di un ampio lastricato in marmo veronese databile al II sec. d.C. nell'area del Santo Sepolcro potrebbe riferirsi ad un complesso di natura pubblica attivo nella media età imperiale in un'area periferica della città, precedentemente destinata a funzioni commerciali e funerarie. Nell'area doveva sorgere infatti il cimitero giudaico-cristiano ove avrebbero trovato sepoltura i protomartiri Vitale e Agricola, poi ritrovati alla presenza di Sant'Ambrogio. Fra i numerosi materiali di spoglio presenti nella basilica di Santo Stefano davanti all'ingresso della chiesa della Trinità è collocata una vasca di marmo dell’VIII secolo con una controversa iscrizione longobarda, che ricorda i privilegi concessi dai Re Longobardi Liutprando e Ildebrando, utilizzata per i doni dei fedeli alla chiesa. Da sempre conosciuta con il nome di “Catino di Pilato” in quanto ritenuta imitazione del bacile in cui il romano si lavò le mani in occasione del giudizio di Gesù. Nel giardino a fianco della chiesa dei SS. Vitale e Agricola si trova un sarcofago marmoreo romano (metà del III sec. d.C. ca.), riutilizzato come tomba familiare dagli Orsi tra la seconda metà del XV e gli inizi del XVI secolo. Cassa con edicola centrale timpanata recante un'epigrafe commemorativa degli Orsi, affiancata da due edicole archivoltate. Il coperchio è a doppio spiovente con filari di finti embrici e grandi acroteri angolari. Vi sono incisi lo stemma della famiglia e una croce greca. Secondo la tradizione sarebbe stato trasportato da Ravenna per volontà del vescovo Teodoro III (804-825).