La Vergine presenta S. Margherita alla SS.ma Trinità. Madonna

dipinto post 1619 - ante 1619

Dipinto privo di cornice.

  • FONTE DEI DATI Regione Lombardia
  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Viani, Antonio Maria (1555/1560-1630 Post)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Museo di Palazzo Ducale
  • LOCALIZZAZIONE Museo di Palazzo Ducale
  • INDIRIZZO Piazza Sordello, 40, Mantova (MN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La pala è posta nel 1619 sull¿altare sinistro, dedicato a S. Margherita, della Chiesa di S. Orsola, costruita e decorata per volontà di Margherita Gonzaga d¿Este. Bresciani (1665 [ed. 1976], p. 44) pare essere il primo a descrivere il dipinto e Arisi, a cavallo tra Sei e Settecento, ne riferisce con altrettanta precisione nella biografia del cremonese Anton Maria Viani: "di sua mano dipinse in una tavola da altare la Beata Vergine che presenta alla SS.ma Trinità la detta santa [Margherita] in abito nobilissimo con gran numero di angioli, che suonano varii musicali strumenti, e con altri angioletti, che formano una vaghissima gloria" (BSCr, ms. AA.2 .16, p. 131). In S. Orsola la grande tela centinata è descritta dall¿anonima Nota delle pitture del 1748 (p. 174), anche se in maniera scorretta: "Entrando a sinistra. Il quadro all¿altare della SS. Trinità è opera dell¿Andreasini", cioè Ippolito Andreasi. Cadioli nel 1763 (p. 71) è più preciso: "il quadro, su cui è effigiata, in assai vaga, e graziosa maniera dal Viani la Gloria del Paradiso colla Madonna, ed altri Santi"; egli restituisce quindi ad Anton Maria Viani la pala, descritta in situ anche da Zaist ( 1774, II, p. 65) e portata nel 1786 nel Regio Ginnasio. Nel 1810 è già nell¿Accademia Virgiliana, dove Felice Campi lo indica (n. 37) come "rappresentante la Triade con due sante in ginochio e con gloria d¿angioli che cantano e suonano, opera del Viani cremonese". Nel 1862 viene ceduto al Comune di Mantova, che nel 1922 (?) lo deposita nel Palazzo Ducale. Firmata e datata 1619, l¿enorme pala viene realizzata evidentemente quando Margherita Gonzaga (1564-1618) è già morta. Non vi sono elementi concreti per affermare che l¿opera sia stata commissionata nel 1617 da Margherita (Tellini Pe rina 1998, p. 200), per quanto la pala nasca con ogni probabilità per volontà di "madama di Ferrara", che al Viani aveva richiesto la costruzione stessa del convento e della chiesa. Al di sotto dell¿opera erano, fino al 1786, due tele di Lucrina Fetti, rappresentanti S. M. Maddalena e S. Barbara: la prima forse nota attraverso una copia e la seconda conservata in collezione Strinati a Roma (Askew 1977, pp. 127-128; E. Ferri, in Ita lian Women Artists 2007, pp. 000). Nel corso dell¿Ottocento e del Novecento il soggetto del dipinto viene mal interpretato come le SS. Margherita e Orsola assunte in gloria con la Trinità, a causa di un¿erronea identificazione della figura incoronata sulla sinistra, ritenuta Orsola piuttosto che la Vergine. Solo di recente ho chiarito che si tratta proprio della Vergine, che ha un cerchio di dodici stelle sulla testa, è incoronata, ha la consueta veste rossa e il manto blu trapunto di perle (S. L¿Occaso, in I dipinti 2002, p. 77). Maria "qui nelle vesti di Donna dell¿Apocalisse" presenta alla Trinità S. Margherita, che è invece ben riconoscibile per l'"attributo" del drago. È forse anche per questa confusione iconografica che alcuni studiosi (Matteucci 1902, p. 373 nota 1; Restori 1919, p. 106 o 195) hanno ritenuto disperso il "Paradiso" del Viani citato dalle fonti (tra cui anche: Lanzi 1968-1974, II (1970), p. 198), che è invece, ovviamen te, il dipinto in esame. La pala, vertice della produzione tarda del Viani per l¿eccezionale qualità pittorica, è giudicata in maniere contrastanti: Pallucchini (1981, I, p. 135) vi scorge una pennellata di ascendenza fettiana, la Tellini Perina (in Pittura a Mantova 1989, p. 258) sottolinea la sopravvivenza di schemi compositivi monacensi, Bober (in Capolavori della Suida-Manning Collection 2001, p. 158) la considera una sorta di risposta alla Pala della Trinità del 1605 di Rubens (cat. [293-296]). Il "raffreddamento" della tavolozza rispetto alla dominante "terrosa" e ambrata degli inizi, i toni brillanti e argentati, la luce che si diffonde dall¿alto e si attenua solo nella parte inferiore, imperlando le forme come rugiada, fanno pensare che l¿artista abbia modificato il proprio lessico artistico osservando la coeva pittura emiliana e forse anche certe sperimentazioni luministiche di ambito veronese. Il fondale della teofania è costruito con cerchi di nuvole e striature di luce balenante da tergo che creano un imbuto spaziale, ricordo delle composizioni monacensi, e danno una particolare preziosità cromatica alla pala, quasi una monumentale pittura su alabastro (Marinelli 1997, p. 135). Quanto alla data dell¿opera, essa ci è attestata dalla firma stessa al 1619, ma forse questa data è stata per lungo tempo difficilmente leggibile. Non si spiegherebbero altrimenti le molte esitazioni o datazioni inesatte: verso il 1608 per Feuchtmayr (in Allgemeines 1907-1950, XXXIV (1940), p. 322); 1613 per Ozzola (1949, n. 180; 1953, n. 18 0), che pure nel 1946 l¿aveva letta correttamente (Ozzola 1946, p. 19 n. 8 7); 1614 per la Askew (1968, p. 4 nota 13; 1977, p. 127). (L'OCCASO 2011,pp. 303-304)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • ENTE SCHEDATORE R03/ S23
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2010||2013
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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