Cristo e undici Apostoli. Cristo e undici Apostoli
dipinto
ca. 1620 - ca. 1620
Fetti, Domenico (attribuito)
1589 ca.-1624
Ciclo di dodici dipinti raffiguranti Cristo e gli Apostoli, incorniciati con cornici semplici lignee dorate e modanate.
- FONTE DEI DATI Regione Lombardia
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
legno/ doratura
legno/ modanatura
tela/ pittura a olio
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ATTRIBUZIONI
Fetti, Domenico (attribuito)
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Museo di Palazzo Ducale
- LOCALIZZAZIONE Museo di Palazzo Ducale
- INDIRIZZO Piazza Sordello, 40, Mantova (MN)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE La serie di dodici tele proviene da una chiesa viadanese; nel 1788 infatti il pittore Giuseppe Bongiovanni, nativo di Viadana, asserisce d'averli "aqquistati in mia Patria" e li dona all'Accademia Virgiliana (Bazzotti 1980 , p. 84 nota 75), in cambio della proroga di un anno della sua partenza come pensionante per Roma, causata da necessità familiari (ASMi, Studi, parte antica, b. 200, fasc. 4). La presenza di una copia del San Giovanni Evangelista a Viadana, già nella chiesa di S. Maria Assunta e ora nel Museo Civico "Parazzi", dipinta da Stefano Gognetti nel 1684 (Parazzi 1893-1899 , II (1893), p. 136; Matteucci 1902, p. 375), è ulteriore conferma che la serie lì si trovava; Bongiovanni tuttavia non precisa dova ha raccolto le tele. Una ricerca tra gli inventari settecenteschi delle chiese del luogo mi ha dato come unico riscontro possibile la menzione di "Dodici quadri in chiesa dipinti in tela rappresentanti i dodici Apostoli", tra i "sacri arredi lasciati dal fu molto reverendo signor don Paolo Gattafoni ultimo arciprete della chiesa parrocchiale del Castello", in un inventario del 9 agosto 1786 conservato nell'archivio parrocchiale dei SS. Maria e Cristoforo di Viadana (b. A.IV/7); Gattafoni è arciprete della chiesa dal 1764 al 1786 (Parazzi 1893-1899, III (1895), p. 9). Le tele rimangono di proprietà dell'Accademia anche dopo la cessione di parte del suo patrimonio artistico al Comune (1862) e vengono quindi, nel 1915, depositate presso il Palazzo Ducale (Tamassia 1996, p. 59). I dodici dipinti costituiscono un vero e proprio Apostolado - il collegio apostolico che esprime la quintessenza dei dogmi cattolici, in particolare in ambito controriformistico - secondo una tradizione iconografica che in Spagna esisteva sin dal Quattrocento ma che in Italia trova fortuna e diffusione solo ai primi del Seicento, in particolare a Roma, forse attraverso la committenza iberica lì assai presente: l'Apostolado già di Pietro Cussida, oggi in parte presso la Fondazione Longhi di Firenze e riferita al Maestro del Giudizio di Salomone o a Jusepe de Ribera (Spinosa 2003, pp. 30 e segg. e 356-357 nn. C3-9; G. Papi, in Carav aggio e l'Europa 2005, pp. 260-264), può esemplare un modello noto al Fetti e da questi imitato nella serie mantovana. In realtà, Fetti inserisce, rispetto alle rappresentazioni consuete, il Redentore al posto di S. Bartolomeo ed esclude anche S. Mattia a favore di S. Paolo, mutando lievemente l'assetto tradizionale dell'iconografia (Safarik 1990, p. 189). La serie non ha praticamente precedenti nel Mantovano: l'unico Apostolado di primo Seicento che io conosca si trova nei depositi del duomo cittadino, presenta Cristo e gli Apostoli a mezza figura e deriva dalle incisioni di Crispijn de Passe de Oude (Hollstein's Dutch and Flemish 1949-2009, XV (1964?), p. 161 nn. 240-253); questa serie si allarga però a includere alcuni Padri della Chiesa. È possibile inoltre che lo stesso Fetti abbia dipinto un secondo Apostolado del quale rimanevano, nel 1648, cinque elementi nella collezione di Gian Vincenzo Imperiali (Martinoni 1983, pp. 286-288; Safarik 1 990, p. 217 n. 94). Nell'Accademia Virgiliana i nostri dipinti sono ricordati nell'inventario del 1810 da Felice Campi (nn. 64-75): "Dodici quadri in tela rappresentanti li undici Apostoli con Gesù Cristo, tutti a mezza figura, opera di Domenico Feti, tutti patiti, alti braccia 2 pollici 9 e la rghi braccia 2 pollici 3, sono stati regalati dal suddetto Bongiovani"; in maniera non dissimile sono segnalati, sempre con la corretta attribuzione, negli inventari successivi. Susani (1818, p. 39) sembra essere il primo a menzionarli a stampa come opere di Domenico Fetti; in Accademia nel 1857 Eastlake (ms. Eastlake 1857, p. 110) li vede e li giudica "very bad, unfinished, but useful as exhibiting his chopped singular mode of painting", e così nel 1883 anche l'Intra (p. 47) li dice "non totalmente compiuti", forse mal interpretando l'estrema rapidità di tocco che li caratterizza. L'attribuzione al Fetti non è tuttavia messa in dubbio sino a un intervento del 1922 di Marangoni (pp. 217-218) che li giudica eccessivamente goffi nelle forme e cromaticamente distanti dai modi del Fetti, rifiutando quindi la corrente attribuzione. Le sue osservazioni sono raccolte, contro una cospicua serie di interventi tutti favorevoli all'attribuzione al Fetti, da Benesch che nel 1926 (p. 255 nota 7) assegna le dodici tele al Maffei, mentre due anni più tardi Pevsner (p.155) ritiene che solo due delle tele, senza peraltro specificare quali, siano autografe di Fetti (p. 255 nota 7). (L'OCCASO 2011,pp. 306-307). (PROSEGUE NEL CAMPO OSS)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà persona giuridica senza scopo di lucro
- ENTE SCHEDATORE R03/ S23
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DATA DI AGGIORNAMENTO
2010||2013
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0