San Giacomo maggiore

dipinto ca. 1620 - ca. 1625

San Giacomo maggiore è raffigurato a mezza figura e di profilo mentre avanza verso sinistra; il volto è girato verso l'osservatore che invita a seguirlo con un gesto della mano destra; nella mano sinistra tiene il bastone del pellegrino; sulla cappa che gli protegge le spalle si vede la conchiglia, attributo tradizionale di questo santo e dei pellegrini di Santiago de Compostela.

  • FONTE DEI DATI Regione Lombardia
  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA OLIO SU TELA
  • ATTRIBUZIONI Vermiglio Giuseppe (1587/ 1635 Post)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Fondazione Biblioteca Morcelli-Pinacoteca Repossi. Raccolte d'arte della Fondazione Biblioteca Morcelli Pinacoteca Repossi
  • LOCALIZZAZIONE Biblioteca Morcelli-Pinacoteca Repossi
  • INDIRIZZO Via Bernardino Varisco, 9, Chiari (BS)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La scritta che corre sul margine superiore della tela identifica la monumentale figura in abito da pellegrino con l'apostolo san Giacomo maggiore, così raffigurato per il suo leggendario viaggio che l'avrebbe condotto fino a Compostela. Il dipinto, certamente il pezzo più notevole della Pinacoteca Repossi, è entrato nella collezione clarense in epoca imprecisata e non - secondo quanto solitamente creduto - in seguito al lascito testamentario dell'avvocato Pietro Bartolomeo Repossi nel 1854. Tale fraintendimento, dovuto a un errore di identificazione da far risalire al Rivetti, identificava nella "testa di S. Giuseppe, creduta universalmente del Moretto" (Repossi 1855) e presente nel lascito Repossi questo dipinto, grazie anche allo spostamento di attribuzione dal Moretto al Caravaggio compiuto dal Rivetti (1917, p. 8) che però lo vedeva, ancora incongruamente, come un san Giuseppe. In seguito Lancini, pur mantenendo l'attribuzione al Caravaggio leggeva correttamente il soggetto della tela. Il cambio di soggetto e di attribuzione (da san Giuseppe a san Giacomo e da Moretto a Caravaggio) non impediva a Terraroli, al quale si deve la restituzione del dipinto al catalogo del Vermiglio, di identificare l'opera con quella figurante nel lascito Repossi del 1854, opinione recensita anche recentemente da Francesco Frangi nella scheda per la mostra dedicata al pittore nel 2000 e allestita a Campione d'Italia. Al contrario l'opera apparteneva a un altro collezionista clarense, Alessio Antonio Rota, padre di Giovan Battista Rota, vescovo di Lodi, uomo colto e di molta importanza per la vita artistica a Chiari verso la metà dell'Ottocento, del quale si è tentato di recente da parte di Giuseppe Fusari un primo profilo. Questi, nelle sue memorie manoscritte, conservate nel Fondo Rota presso la Biblioteca Morcelliana, annota anche alcuni dei pezzi della sua collezione tra i quali figura "un superbo S. Giacomo del bravo, ma rarissimo Pittore Michelangiolo da Caravaggio" (AMC, Fondo Rota, Arm. mss. II, Miscellanea chiarese, p. 148; pubblicato in Fusari, 2002, p. 53), indicazione che vale anche a spiegare l'attribuzione tradizionale del dipinto fino alla corretta ascrizione al Vermiglio. Il dipinto, come si è detto, è stato ricondotto al pittore da Valerio Terraroli che ha proposto anche una datazione attorno alla prima metà degli anni Venti del Seicento, in concomitanza con il ritorno dell'artista in Italia settentrionale dopo il suo lungo soggiorno romano, datazione accolta anche da Frangi che indica nella peculiarità della stesura pittorica e "in certi dettagli tipologici rivelatori, come la definizione un poco ruvida e sintetica delle mani e la stessa intensa caratterizzazione del volto" un convincente appiglio per questa collocazione cronologica. D'altro canto l'intonazione caravaggesca che ha fatto ascrivere per lungo tempo il dipinto al pittore bergamasco è ben visibile - come ancora annota Frangi - nella impostazione luministica individuata attraverso il raggio di luce che taglia in diagonale la parete da sinistra e giunge a illuminare in pieno il volto del santo di scultorea plasticità che s'inserisce, quasi un cameo prezioso, nell'intarsio delle tinte quasi ridotte al monocromo di una tavolozza volutamente ribassata e 'serale' che ricorda "le analoghe sottigliezze atmosferiche di Bartolomeo Manfredi e di certi suoi seguaci francesci, come Nicolas Tournier" (Frangi, 2000, p. 106). Già del tutto lombarda, invece, è la stesura pittorica curata e compatta, capace di raffinatezze che conducono verso gli esiti di Daniele Crespi e, insieme, mettono in evidenza una nuova, riacquistata monumentalità che si esplica nella levigata, quasi marmorea costruzione del viso e del manto del san Giacomo, i cui esiti non differiscono di molto da analoghe prove dell'artista ravvisabili in specie nelle figure dell'Ultima Cena proveniente da Novara (oggi a Milano, Pinacoteca di Brera) e nel San Tommaso apostolo, conservato nei depositi della pinacoteca milanese, che condivide con la tela clarense la stessa impostazione generale ma che non perviene agli stessi risultati di raffinata e superba bellezza.
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà privata
  • ENTE SCHEDATORE R03/ Fondazione Biblioteca Morcelli-Pinacoteca Repossi
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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