Allegoria della Fortezza
La "Sala della Fortezza" viene così chiamata per l'affresco eseguito al centro del soffitto raffigurante un'allegoria dell'omonima Virtù. La figura femminile della Fortezza è rappresentata in un ardito scorcio prospettico, mentre si eleva su un fondale dorato. La fanciulla regge tra le mani una spada avvolta dalle spire di un serpente e uno scudo su cui campeggiano una testa di leone e una clava, probabilmente allusive alle imprese di Ercole, eroe mitologico noto per la sua forza. La giovane indossa un abito di colore rosso, le cui pieghe le ondeggiano attorno alle gambe viste dal sottinsù. Sulle spalle porta un ampio manto azzurro chiaro e la testa, in parte nascosta dietro la spalla, appare coronata da un elmetto metallico ornato di foglie. La figura è sormontata da un lungo cartiglio la cui scritta latina oggi appare ormai illeggibile. L'intera volta presenta un impianto decorativo particolarmente elaborato, con presenza di elementi vegetali e floreali, creature mostruose e leggendarie ed ampie cornici all'antica che inquadrano scene paesistiche di gusto fiammingo.
- FONTE DEI DATI Regione Lombardia
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
intonaco/ pittura a fresco
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ATTRIBUZIONI
Procaccini, Camillo; Procaccini, Carlo Antonio (1561-1629; 1571-1630)
- LUOGO DI CONSERVAZIONE
- LOCALIZZAZIONE Villa Visconti Borromeo Litta - complesso
- INDIRIZZO Largo Vittorio Veneto 22, Lainate (MI)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto collocato al centro del soffitto raffigurante l'Allegoria della Fortezza viene ritenuto dalla critica opera dell'artista bolognese Camillo Procaccini, attivo nel Ninfeo di Villa Visconti Borromeo Litta nell'ultimo quarto del XVI secolo ed esecutore, insieme ai propri collaboratori, di buona parte degli affreschi presenti nel piano inferiore dell'edificio. A lui vengono attribuite in questa sala anche le "teste caricate" dipinte ai lati del riquadro centrale. L'artista, forte dell'esperienza maturata a Bologna dai Carracci, giunse infatti in una Milano estremamente curiosa nei confronti delle esasperazioni fisionomiche, fin dalle prime prove condotte da Leonardo da Vinci con le sue "Teste grottesche". Le bizzarrie ornamentali, alternate ad ornati a grottesche e motivi all'antica, corrispondevano infatti al gusto del committente del complesso, Pirro I Visconti Borromeo, nonché a quello dell'intero ambiente artistico lombardo che, a partire dall'inizio del XVI secolo, fece grandissimo uso di questo tipo di decorazioni. Il nuovo repertorio derivato dalle scoperte archeologiche romane, che all'epoca apparivano come grotte sotterranee (da cui il nome "grottesche"), venne infatti impiegato da scultori, orefici, intagliatori e pittori di tutta Europa, diffondendosi anche grazie ai numerosi repertori incisi e stampati a partire dalla metà del Cinquecento. Non è infatti un caso che Giovanni Paolo Lomazzo (1538-1592), consigliere di Pirro I Visconti Borromeo nella redazione del complesso iconografico della Villa, si fosse cimentato in gioventù proprio nella "composizione di grottesche" presso un intagliatore di ferro e materiali preziosi, e che draghi, bisce, arpie, centauri ed altre creature leggendarie fossero protagonisti delle sue fantasie di scrittore. La volta della sala si presenta inoltre caratterizzata dalla raffigurazione di paesaggi bucolici, accesi da toni e luci cangianti soprattutto nella trattazione delle fronde degli alberi e nei borghi che si stagliano sullo sfondo. Queste raffigurazioni tradiscono un certo gusto nordico per le vedute fantastiche, riconducibile alla circolazione nella seconda metà del Cinquecento delle opere degli artisti fiamminghi Paul Bril e Jan Brueghel, favoriti in Lombardia anche dalle committenze del cardinale Federico Borromeo. La particolare vitalità di questi paesaggi, condotti non senza conoscere l'atmosfera dei "paesi di maniera" dipinti nell'Emilia della fine del XVI secolo, ha fatto propendere la critica per un'assegnazione al fratello minore di Camillo, Carlo Antonio Procaccini (1571-1630), apprezzato sia come paesaggista che come pittore di nature morte. Più difficile, invece, è identificare i brani pittorici affidati ai meno celebri Agostino Lodola e Giovan Battista Maestri, detto il Volpino, documentati al fianco del Procaccini intorno al 1602-1603 in alcune note di pagamento dell'amministrazione di Pirro I Visconti Borromeo. La decorazione della sala prosegue anche sulle pareti, dove ampi cornici geometriche, divise in riquadri polilobati, racchiudono coloratissime ornamentazioni a volute e racemi floreali, che si chiudono intorno a raffigurazioni allegoriche di divinità mitologiche. Fra di esse l'immagine di Cupido, con arco e faretra, intento a recuperare una freccia tenuta tra le mani di una giovane donna seduta accanto a lui, che lo tiene tra le braccia, e la raffigurazione di una nereide (forse Galatea), una ninfa del mare riccamente ingioiellata seduta su un gigantesco mostro marino in cima ad una grotta, che ricorda le forme dell'attiguo Ninfeo. Anche la cappa del camino appare dipinta con la raffigurazione simbolica dei quattro elementi: al centro di un verde prato, è raffigurato un ardente falò le cui fiamme stanno per spegnersi sotto la pioggia portata da una nuvola raffigurata nella parte superiore della composizione. L'immagine è sovrastata da un cartiglio recante la scritta latina in lettere capitali "Auget" (= "aumenta"), probabilmente riferibile alla grandezza della famiglia Visconti Borromeo.
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- ENTE SCHEDATORE R03/ Istituto per la Storia dell'Arte Lombarda
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0