dipinto murale, ciclo di cSa Fabrik Marke (attribuito) (sec. XX)

dipinto murale, 1926 - 1926

Salone rettangolare decorato a fresco con nove pitture quadrangolari alle pareti e una ovale sul soffitto. Gli affreschi sono inquadrati in cornici di legno dipinto e separati da specchiere. Sul soffitto, decorazioni in stucco dipinto

  • OGGETTO dipinto murale
  • MATERIA E TECNICA intonaco/ pittura a fresco
  • ATTRIBUZIONI Csa Fabrik Marke (attribuito): attribuito
  • LOCALIZZAZIONE Roma (RM)
  • INDIRIZZO Europa, ITALIA, Lazio, RM, Roma, Roma (RM)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La decorazione del Salone al pianterenno dell'Albergo degli Ambasciatori (attualmente Hotel Ambasciatori) fu eseguita da Guido Cadorin (cfr. scheda n.25) in un tempo assai breve: iniziata nei primi mesi del 1926, essa era completata già alla fine dello stesso anno, e si offriva per la prima volta agli occhi del pubblico la sera del 6 febbraio 1927, una domenica in cui il nuovo edificio veniva inaugurato con un festeggiamento al quale convenivano tutti gli esponenti dell'alta società romana dell'epoca. La decisione di affidare l'affrescatura della sala principale al trentaquattrenne pittore veneziano si deve a Melchiorre Bega (cfr. scheda n.12) responsabile della direzione generale della decorazione accanto a Marcello Piacentini (cfr. scheda n.1) e ad Emilio Voct, architetto originario di Lucerna, attivo nell'impresa come assistente tecnico e responsabile degli impianti. Dal diario manoscritto e inedito di Cadorin, in possesso della figlia attualmente residente a Parigi, apprendiamo le modalità e gli intenti del lavoro: "Nel 1925 devo recarmi a Roma dove devo pensare all'organizzazione della decorazione..che..deve partire dal ricordo di uno stile settecentesco nei riquadri delle pareti e del soffitto a stucco." (G.Cadorin, Diario, inedito, cit. in cat. mostra 1987). Se da un lato è perciò implicitamente dichiarato l'intenzionale riferimento alla grande tradizione veneziana, si palesa dall'altro l'adesione di Cadorin all'ultimo liberty, in naturale conseguenza delle suggestioni di artisti attivi in Italia, come Mariano Fortuny, o all'estero, come Gustav Klimt, le cue opere Cadorin ha potuto ammirare alla Biennale veneziana del 1910. E' pertanto all'insegna della modernità che nascono le scene affrescate (di cui si conservano bozzetti a Venezia, coll. priv., pubbl. in cat. mostra cit.), volte alla rappresentazione di uno spazio unico e ininterrotto composto da architetture e figure umane. Per la creazione degli illusionismi prospettici, Cadorin si servì della collaborazione di suo cognato Brenno dal Giudice, col quale operò di frequente, e che ideò balconate, scalee e colonne tortili di gusto veronesiano, architetture ora interne, come se la scena si svolgesse in un foyer, ora affacciate su paesaggi. Il tema è quello di un grande convito in villa per una rappresentazione teatrale (cfr. scheda n.14): verso di essa converge l'attenzione degli invitati, i cui sguardi creano, da una parte all'altra, dialoghi e rispondenze; spesso, tuttavia, lo sguardo del personaggio dipinto è rivolto allo spettatore reale, invitato ad una partecipazione più diretta alle situazioni che si svolgono in una dimensione soltanto pittorica. Per rendere più realistica l'immagine, e come ulteriore riferimento alla tradizione, Cadorin inserisce negli affreschi numerosi ritratti di contemporanei: dal committente Gino Clerici (cfr. scheda n.23) fino al proprio autoritratto (cfr. scheda n.25). Dalla testimonianza di Umberta Resinelli, ritratta in uno degli affreschi (cfr. scheda n. 18), apprendiamo che Cadorin organizzò vere e proprie sedute di posa, convincendo amici e parenti della famiglia Clerici a far da modelli. La tecnica è quella tradizionale del cartone inciso, e i segni di contorno sono chiaramente individuabili in tutti i dipinti. Il grande ciclo non fu compreso: nel giugno 1927, a soli cinque mesi dall'inaugurazione, gli affreschi vennero coperti (cfr. schede n.22). Dimenticate durante il fascismo, le pitture di Cadorin furono riscoperte nel dopoguerra. Originariamente l'aspetto del Salone doveva essere piuttosto diverso, e certamente più armonico: come testimoniato dalle foto dell'epoca (cfr. Papini, 1927), gli affreschi non erano limitati alle pareti, ma proseguivano anche sui due pilastri, che mostravano figure femminili abbigliate "alla spagnola" in atto di affacciarsi ad un balcone (queste immagini potrebbero essere ancora recuperate rimuovendo i pannelli di legno dipinto addossati ai pilastri); similmente, gli stucchi del soffitto e le lacche delle specchiere, sottolineati per mezzo del colore, producevano un vivace effetto ormai vanificato dalla completa ridipintura in bianco
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà privata
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1200230313
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Roma
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i beni artistici e storici del Lazio
  • DATA DI COMPILAZIONE 1988
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2010
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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