La vestizione della beata Beatrice II d'Este. La vestizione della beata Beatrice II d'Este
dipinto olio su tela,
ca 1840 - ca 1841
Rossi Bernardino (attribuito)
1803/ 1865
dipinto ad olio su tela
- OGGETTO dipinto olio su tela
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MISURE
Altezza: 265 cm
Larghezza: 370 cm
- AMBITO CULTURALE Ambito Emiliano
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ATTRIBUZIONI
Rossi Bernardino (attribuito): pittore
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Estense
- LOCALIZZAZIONE Gallerie Estensi
- INDIRIZZO Largo Porta Sant’Agostino, 337 - 41121 MODENA tel. 0594395727 - fax 059230196 pec: mbac-ga-esten@mailcert.beniculturali.it ga-esten@beniculturali.it, Modena (MO)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE «Era il giorno 28 luglio […] e le contrade di Ferrara risuonavano di liete grida. I cavalieri e le dame di gentil sangue accorrevano al castello con tutto lo sfarzo della più ricca magnificenza. Poi gli araldi dando fiato alle trombe salutavano uno splendido corteggio nuziale che ne usciva a trionfo e scendea lentamente verso le rive del Po. Ivi una splendida principessa riceveva gli omaggi d’una intera popolazione e con meste parole togliea commiato dalle nobili damigelle degli infantili suoi giorni. Montava poi con festivo real corteo una superba nave; e i coronati nocchieri sciogliendo le vele fendeano a ritroso le onde del re dei fiumi. In tal modo Beatrice, figlia del potente Azzo VII, marchese d’Este e di Ancora e signore di Ferrara, lasciava il tranquillo soggiorno della corte paterna per andare sposa a Galasso Manfredi fra le gioie tumultuose dell’opulenta Milano. Ma non aveano i passeggeri fatto lungo cammino, che scorsero da lontano un bruno naviglio venir celeramente alla loro volta. Fra la speranza e il timore erano gli animi combattuti e sospesi quando appressatosi il fatal naviglio, un cavaliere in abito di corruccio a Beatrice narrò l’infausta novella che il suo sposo era morto nel bollor d’una mischia. Ed ecco in lutto cangiarsi il riso, e le grida di gioia nel cupo silenzio della disperazione. Sola Beatrice parve rassegnata al colpo, che le mandava la provvidenza poiché lesse chiaro in quel terribile avvenimento la volontà del Signore, che fin da fanciulla l’aveva chiamata a talamo più sublime e più santo. Né altro desiderio sentì più Beatrice da quel giorno, in cui spogliando le vesti e le ghirlande nuziali recossi a vivere nella più remota parte della città; finchè dopo molte preghiere avvalorate dai consigli del pio vescovo di Ferrara, Giovan Querino, ottenne dal padre di consumare il suo sacrificio vestendo le divise dell’ordine benedettino; ciò che avvenne pur finalmente nel monastero di sant’Antonio il giorno 21 marzo dell’anno 1252. Quest’atto magnanimo della vergine Estense fornì argomento di una magnifica tela del ch. prof. Bernardino Rossi, pittore di questa regia corte e che a lui venne allogata dall’A.R. dell’Archiduca regnante intenta sempre a promuovere le buone arti, e beneficare ai cultori delle medesime. Il quadro del Rossi fece parte della solenne esposizione che ebbe luogo nelle sale di questa Accademia Atestina l’ottobre ultimo scorso (1841) e a seconda della nostra promessa, noi ne daremo ai Lettori del Silfo una succinta dichiarazione. A far conoscere tutta l’importanza del sacrificio che Beatrice andava a compiere in quel giorno, l’artista ha scelto opportunamente l’istante, in cui ella ai pie’degli altari depone il fasto delle pompe terrene per vestire le rozze lane della rigida penitenza. Ella è ginocchioni dinanzi al vescovo, adorno degli abiti pontificali e circondato dal clero e dai priori dell’ordine benedettino. Spogliata è dell’aureo diadema, e dell’azzurro manto, quello deposto sui gradini dell’ara; questo raccolto da un grazioso paggetto, che sta ritto in piedi a tergo della medesima. Le nubili donzelle che la seguiranno in questa santa risoluzione, coperte già dei monastici veli le fanno intorno corona, intente ai sacri uffici che richiede la cerimonia. Due inginocchiate sostengono, l’una la ghirlanda di rose, l’altra la veste dell’ordine, cui dee tra poco indossare la candidata; mentre suor Lieta, che come superiora del monastero vedesi ritta a fianco del vescovo, le discioglie sul capo le bionde trecce, che il prelato sta per recidere a norma dello statuto. Il marchese Azzo VII, padre di Beatrice, prega genoflesso vicino alla figlia, e i cavalieri e le dame della sua corte in vari atteggiamenti gli fan brillante corteggio. Per ultimo sul davanti della tela stanno a colloquio due gentiluomini, e direbbesi all’elegante espressione della loro fisionomia, che l’uno raccontasse al compagno la dolorosa storia del turbato imeneo e l’altro stesse a udirla con meraviglia. Così in tutto il quadro campeggia la maestria del pittore, sviluppando all’evidenza il concetto che egli assunse a trattare, nel che consiste a mio credere il pregio migliore dell’invenzione di un artista. Tuttociò che di sublime era nell’atto eroico di Beatrice, egli appar manifesto nella tela del Rossi, e la povertà della vita monastica messa a confronto col fasto della corte a colpo d’occhio ti svela a quante privazioni si assoggetta la vergine, che dà l’eterno solenne addio alla terra e alle vane sue pompe. Quindi è che la composizione in genere fu trovata assai commendevole e per la collocazione acconcia delle varie figuree per li toni bilanciati in modo da far risaltare nel quadro un bell’accordo e una perfetta armonia. La devozione che spira dal volto di Beatrice, la casta gioia che brilla negli occhi delle sorelle sue di religione, il padre atteggiato a un profondo dolore, seranato alcun poco dall’aquetarsi che ei fa negli eterni voleri, i cavalieri e le dame che appalesano la meraviglia, e la compassione, onde sono presi; tutto ciò fa vedere che il Rossi interrogò la natura, e la ricopiò fedelmente nel suo lavoro. Parve poi ad alcuni che il pittore dovesse rinforzare con velature e senza risparmio l’abito di Beatrice, e in generale ml’abito de’ mpersonaggi, staccare con vigore di colorito alcune teste e in modo particolare nell’indietro, ritoccare alcuni volti per togliere alcunchè di monotono, che si osserva in parecchie fisionomie, e infine dar risalto alla parte architettonica con maggior forza di tinte, e diversità di colori. Ne’ quali difetti, se pure esistono, io penso che sia incorso l’artista per aver voluto mettere, nel suo quadro, quella calmasolenne e religiosa che era senza dubbio richiesta dall’argomento. A. Peretti» Antonio Peretti, La Vestizione della beata Beatrice II d’Este, in «Il Silfo, giornale letterario, artistico, teatrale», anno I, n. 31 del 10 febbraio 1842
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Stato
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800676917
- NUMERO D'INVENTARIO R.C.G.E. 1443
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA GALLERIA ESTENSE
- ENTE SCHEDATORE GALLERIA ESTENSE
- DATA DI COMPILAZIONE 2019
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0