Helyas addestrato al tiro con l'arco

placchetta di cofanetto,

Placchetta in osso di forma circa trapezoidale per riduzioni del margine sui lati, originariamente facente parte della decorazione parietale di un cofanetto. L'intaglio mostra una suddivisione in due livelli verticali, in basso caratterizzati dagli alberi di una foresta, mentre in alto una figura maschile recante un bastone, è ritta in piedi di fianco ad una seconda che gli si rivolge porgendogli un arco

  • OGGETTO placchetta di cofanetto
  • ATTRIBUZIONI Bottega Degli Embriachi (1390ca-1430ca)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Museo Nazionale di Ravenna
  • LOCALIZZAZIONE Monastero benedettino di San Vitale (ex)
  • INDIRIZZO Via San Vitale, 17, Ravenna (RA)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La placchetta in osso proviene dalle collezioni che i monaci camaldolesi del cenobio ravennate di Classe avevano raccolto a partire dal XVII secolo e che, soprattutto con le acquisizioni del XVIII, vennero a costituire una notevole collezione di rilievo non solo artistico ma altresì antiquario e naturalistico. In tale raccolta gli oggetti in osso e avorio ebbero una significativa rappresentanza, definendo un corpus tipologicamente eterogeneo e capace di riepilogarne vari periodi di produzione e regioni di provenienza. Le collezioni classensi, confluite nel demanio comunale con le soppressioni del 1797, ed esposte nella chiesa di San Romualdo come parte del Museo Classense Municipale, pervennero quindi al costituendo Museo Nazionale di Ravenna a partire dal 1885, per essere trasferite nella nuova sede del medesimo, l’ex-monastero benedettino di San Vitale, tra il 1913 ed il 1914. La placchetta è associabile ad altre serie raffiguranti la Leggenda di Helyas, figlio di re di Belfiore Oriano e della regina Stella, e dei suoi sei fratelli. Le collezioni classensi ricomprendono in particolar modo un cofanetto ottagonale completo in quasi tutte le sue parti (n° inventario 1013, NCTN 0800636670), che come il presente manifesta chiare le formule stilistiche della bottega detta “degli Embriachi” e riproduce per intero la vicenda dei sette figli che la maligna madre del re Oriano, Mattabruna, affida appena nati ad un servitore perché siano annegati. La pietà osservata agli infatti e la loro protezione da parte di un pio eremita introduce al loro crescere in salute e forza, fase nella quale si colloca altresì l’addestramento all’uso dell’arco del primo dei sette rampolli regali, Helyas, unico a non assumere in seguito forma di cigno. Il riconoscimento critico della manifattura embriachesca proviene dai lavori in avorio prodotti per la Certosa di Pavia, commissionati da Gian Galeazzo Visconti a Baldassarre degli Embriachi, consistenti in due cofanetti alla certosina in seguito e smembrati e ricomposti in un pannello al Metropolitan Museum di New York, riproducenti proprio la leggenda di Helyas, che caratterizza uno dei più felici e di maggior successo tra i filoni iconografici sfruttati in opere dalla prima attività, tra la fine del XIV secolo e l’inizio del XV (altri esemplari al Museo di Cluny, al Museo Civico di Torino, alla Martyn d’Arcy Gallery di Chicago e nella collegiata di Santa Maria a Mare di Maiori). L’assenza dell’insistito linearismo e dei formalismi propri della scultura eburnea tardogotica, unita alla ben definita consistenza plastica delle figure, hanno fatto propendere la letteratura storico artistica (Martini 1993, n.13, pp.65-66) per l’inquadramento di questa stessa opera nell’ambito della prima produzione della “bottega degli Embriachi”, in una fase quindi in cui sono ancora significativamente influenti le connotazioni fiorentine e neogiottesche nell’operare degli artisti attivi nella bottega stessa, che come è noto tra il 1391 e il 1393 dovette trasferirsi da Firenze a Venezia. La strutturazione quasi industriale della bottega vide tuttavia simili istanze perdurare anche nei primi anni del ‘400, talvolta convivendo nella stessa opera a fianco di esemplari prodotti in uno stile dal panneggio spezzato e da un linearismo maggiormente nervoso e tardogotico, nella logica razionale di una produzione tendente alla serialità, e pertanto la cronologia dell’elemento erratico in oggetto deve abbracciare entrambi i decenni a cavallo dei secoli XIV e XV. La bottega degli Embriachi fa riferimento alla famiglia fiorentina più correttamente detta degli Obriachi o Ubriachi (banchieri ghibellini documentati in Oltrearno dal XII secolo, costretta all’esilio e trasferitasi nel XIV in altri centri come Bologna e Venezia) ed è stata incardinata dalla critica alla personalità di Baldassarre, tuttavia non in ragione di una reale paternità autoriale, quanto piuttosto per dinamiche di gestione economica e imprenditoriale. E’ infatti nota, anche a seguito delle ricerche archivistiche e documentali come il fondamentale studio di Richard Trexler (The Magi Enter Florence: The Ubriachi of Florence and Venice in Studies in Medieval and Renaissance History, I, 1978, pp. 127-218) la figura del capofamiglia Baldassarre quale importante mercante in stretti rapporti con personalità quali il duca Jean de Berry, Martino I d’Aragona (reggente e poi re di Sicilia), e Riccardo II d’Inghilterra, così come con Gian Galeazzo Visconti e la corte ducale milanese. E’ in ragione di quest’ultima illustre entratura che si giustifica la commissione affidata a Baldassarre, come impresario più che come artista, per i già rammentati lavori in avorio per la Certosa di Pavia costituenti la pietra angolare della ricostruzione storica dell’intera bottega, e comprendenti il trittico oltre ai due cofanetti poi smembrati. [PER MANCANZA DI SPAZIO SI PROSEGUE IN OSSERVAZIONI]
  • CONDIZIONE GIURIDICA detenzione Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800635577
  • NUMERO D'INVENTARIO Museo Nazionale di Ravenna RCE 5698
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini
  • DATA DI COMPILAZIONE 1980
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2016
  • DOCUMENTAZIONE ALLEGATA scheda catalografica (1)
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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