stauroteca di Doria Giuseppe (sec. XVIII)

stauroteca 1713 - 1713

Tre figure allegoriche realizzate a fusione e identificabili come eresia (il demone), idolatria (la figura femminile con spada spezzata e vaso aperto), morte (la figura emaciata) sostengono, gravate dal peso, l'intera struttura. La base, a sezione triangolare, è riccamente decorata a sbalzo e a fusione da un gioco mosso di volute fitomorfe, pendoni floreali e cherubini, mentre sulle volute angolari si elevano putti a tuttotondo in preghiera, realizzati a fusione; al centro di ogni faccia, entro un profilo a cartouche, sono tre scene allusive ai misteri della Redenzione: Gesù nel Getsemani, la Deposizione dalla croce, Mosè e il serpente di bronzo. L'impugnatura, a fusione, è costituita dalla figura a tuttotondo del Redentore, avvolta da uno svolazzante mantello, in piedi sul globo a cui si avviluppa il serpente. Sul capo raggiato del Cristo si innesta la mostra a croce greca, con bracci a profilo mosso e ornati a volute, conchiglie, foglie e cherubi; analoghi motivi si ripetono nella cornice posteriore della teca, mentre quella anteriore è costituita da figure di angeli su nubi reggenti i simboli della Passione. Tra le due cornici sono inseriti e fissati i fasci di raggi

  • OGGETTO stauroteca
  • MATERIA E TECNICA argento/ traforo/ sbalzo/ stampaggio/ fusione/ doratura/ cesellatura
  • MISURE Altezza: 71
  • ATTRIBUZIONI Doria Giuseppe (1665 C./ 1750)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Chiesa di S. Maria della Steccata
  • INDIRIZZO Strada Giuseppe Garibaldi, 5, Parma (PR)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il Tesoro della Steccata ha in questo reliquiario uno dei pezzi più interessanti: il carattere monumentale, le soluzioni formali raffinate e preziose, la ricchezza delle scelta iconografiche organizzate in un coerente discorso allegorico-religioso, nonchè l'eccezionale qualità di esecuzione ne fanno un capolavoro di oreficeria del primo Settecento. Già attribuito a Michele Cruer dal Testi che non prese evidentemente in considerazione l'iscrizione incisa al di sotto del piede, il reliquiario deve riconoscersi indubitabilmente opera del sacerdote piacentino Giusepe Doria, come confermano peraltro anche i riscontri documentari. Nel Libro delle Ordinazioni in data 3 agosto 1711, predisponendosi la consegna dell'argento e l'avvio del lavoro si dice che esso "si deve fare sulla forma del primo disegno dell'argentiere di Piacenza". L'opera, la cui realizzazione fu deliberata dal Priore Ludovico Castelli il 3 marzo 1711, dovette essere conclusa nell'aprile del 1713, allorchè ne venne fatta foderare e coprire "la conserva". Come risulta da carte sparse, la spesa relativamente alla sola fattura fu di £. 2999,10, compresa la doratura. Il pezzo rivela un artista di notevole levatura, cui testimonianze documentarie attribuiscono importanti lavori per chiese piacentine. Per quel che riguarda il reliquiario parmense i Libri della Steccata ci ragguagliano anche relativamente al frangente in cui se ne decise la commissione: dopo giorni di pioggia torrenziale la Congregazione espose la reliquia del Santo Legno confidando in un suo potere taumaturgico. Si dovette tuttavia utilizzare un ostensorio "mancando una croce decorosa d'argento" cui appunto si ritenne di dover provvedere nell'anno successivo. L'impostazione monumentale tipica di molte argenterie fra Sei e Settecento, pare avere qui una più stringente motivazione stilistica, richiamando i modi dell'argenteria romana di epoca barocca, la sua spiccata attenzione nei confronti della grande plastica contemporanea, du cui quasi propone una riduzione in scala. Fortissimo è il carettre scultoreo del pezzo della Steccata: numerose figure a tuttondo assolvono una precisa funzione strutturale, proponendosi nel contempo quasi come opre d'arte autonome. In particolare la splendida figura del Cristo si accosta ai prototipi della scultura romana seicentesca, dal Bernini all'Algardi, nel modellato segnato, nel movimentatissimo panneggio del manto, nell'espressività del volto. La stessa scelta di risolvere l'impugnatura con una figura a tuttondo è presumibilmente di derivazione algardiana ed è frequentemente riscontrabile, oltre che nella produzione meridionale, anche in quella del territorio bolognese, che era peraltro Legazione Pontificia. L'innegabile influenza romana che il pezzo rivela è del resto facilmente spiegabile considerando i tradizionali contatti del Ducato farnesiano con L'Urbe e il Papato.Straordinaria anche la qualità esecutiva del pezzo: ottima la tecnica sia di fusione che di sbalzo, raffinatissima la trattazione della materia, che alterna superfici terse e levigate ad altre scabre, creando un effetto luministico che la doratura non omogenea contribuisce a rafforzare
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico non territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800405742
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Parma e Piacenza
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Parma e Piacenza
  • DATA DI COMPILAZIONE 1991
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2006
  • ISCRIZIONI al di sotto di uno dei piedi - IOSEPH DORIA/ SACER s PLACEN s/ IN r ET FECIT A. 1713 - lettere capitali - a incisione - latino
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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