angeli

rilievo, 1400 - 1499

Coppia di angeli della teoria in terracotta policroma di 20 angeli in rilievo, con svolazzanti vesti chiare, rosate, avorio, verde acqua, viola-lilla, mentre suonano strumenti musicali e reggono grandi campane di frutta sostenute con lunghi nastri. Sfondo di arcate e decorazioni ritmate in stucco dorato

  • OGGETTO rilievo
  • MISURE Altezza: 200
  • AMBITO CULTURALE Bottega Lombarda
  • LOCALIZZAZIONE Milano (MI)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE A proposito dell'intero impianto della cappella Portinari è stato spesso detto che rispecchia un'ispirazione toscana liberamente interpretata da plasticatori lombardi. Il Venturi (1923) pensò a un disegno di Michelozzo tradotto e parzialmente trasformato dal giovane Amedeo, ma non trovò consensi. Infatti le figure rivelano una qualità di modellato alquanto grossa e pesante, tale da far pensare eventualmente a un intervento dell'Amedeo in, fase di esecuzione, intervento più plausibile se si accetta di riconoscere, con il Venturi, la mano dell'artista esordiente nei rilievi marmorei con putti e campane di frutti ai lati dell'ingresso della cappella. Sono stati considerati anche il Foppa e l'Averlino, a quest'ultimo quale probabile consulente di Pigello, accennò cautamente la Wittgens (1949) (si trova descritta infatti nel Trattato di Architettura una danza di fanciulli recanti rami di fiori). Il Baroni (1952) rilevando il peso preminente della decorazione affrescata e notando come la teoria delle figure danzanti sembri trarre spunto dagli angeli reggistemma affrescati alla base dei pennacchi aveva addirittura creduto di poter riferire al Foppa il disegno del fregio. Ma per il Dell'Acqua (1963) non occorre giungere a tanto anche perchè gli agili moti e il panneggio aperto e volante si discostano dai modi foppeschi. Sembra perciò sufficiente l'ipotesi di una stretta collaborazione tra il pittore, l'architetto della cappella e l'esecutore, se non gli esecutori, sicuramente lombardi, del fregio da ricercarsi tra le maestranze specializzate che in quegli anni troviamo alla Certosa di Pavia e all'Ospedale Maggiore, pur con una forte influenza del Foppa nel cromatismo delle figure. La cappella, d'impianto spaziale toscano, mostra anche decisivo intervento di una floridissima decorazione plastica e pittorica ricollegabile alla tradizione lombarda. Per esempio, per gli intagli marmorei dei pilastri, la danza angelica, le cornici di cotto e queste bifore dove, per la prima volta compare la colonna "a candelabra" destinata a tanta fortuna nell'arte lombarda (Meyer,1897).La più antica notizia degli affreschi è del P. Gaspare Bugati (1577) che annotava "in questo tempio Pigello Portinari nobile fiorentino favorito molto dal principe Sforza fece fare la cappella del capo di S. Pietro M. di eccellente architettura e piitura. Il pittore fu Vincenzo Vecchio in quell'età raro. Finita di tutto punto l'anno 68". Quasi contemporaneamente il Lomazzo (1584) attribuiva il ciclo a "Vincenzo Civerchio cognominato il Vecchio" confondendolo col Civerchio. Dopo la peste del 1630 tutta la decorazione della cappella fu imbiancata, tranne i quattro tondi col Dottore. Gli affreschi quattrocenteschi rimasero nascosti sotto numerosi strati di calce e intonaco, sostituiti da affreschi di Cristoforo Storer e Melchiorre Gherardini alle pareti e di Ercole Procaccini sulla cupola con la "gloria di S. Domenico". Gli affreschi vennero attribuiti ancora dal Torre (1714) al Civerchio e confermati dal Bianconi (1787). Il Torre (1737) accennava al P. Francesco Cuccini che fece adornare la cappella nel 1651. Il Caffi (1841) per primo tolse la paternità al Civerchio, il Cavalcaselle (1871) li dichiarò del Foppa data la stretta affinità stilistica dei Dottori con le altre opere foppesche. Nel 1870 in seguito ad uno sfaldamento degli intonaci, i dipinti quattrocenteschi tornarono in luce e l'anno seguente si procedette all'opera di scoprimento, sacrificando le opere secentesche. La paternità foppesca continuò ad essere controversa: lo stesso Caffi (1813) sostituiva il Foppa al Civerchio ma con l'intervento di toscani e di Bartolomeo da Prato, come pressapoco il Beltrami (1898) ed il Malaguzzi Valeri (1902) considerando tra i collaboratori Bonifacio Bembo. Lo Jacobsen (1896) favorevole al Foppa per le storie gli tolse però i Dottori e gli Apostoli considenrandoli di epoca anteriore. Ffoulkes e Majocchi (1909) pur distinguendo quanto vi era di moderno nella decorazione furono portati a credere che buona parte degli affreschi fossero rifacimenti ottocenteschi del tempo dei restauri Caironi. Finalmente col Toesca (1912) e con il Longhi (1917 e 1929) e quindi col Venturi (1930), Morassi (1939) e Panazza (1939) si giunse a una piena attribuzione foppesca, ulteriormente consacrata dalla Wittgens (1949). Non si può negare lo studio del Mantegna e forse ancor più dei Toscani operosi nel Veneto. D'altra parte è innegabile il "valore" pittorico che interviene a determinare la legatura tra la decorazione e le severe membrature architettoniche
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente religioso cattolico
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0300206211A-2.8
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Monza Pavia Sondrio Varese
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i beni storici artistici ed etnoantropologici per le province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Monza Pavia Sondrio Varese
  • DATA DI COMPILAZIONE 1979
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2006
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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