Ritratto di diadoco (statua/ testa)

Roma, SECOLI/ II prima metà

Testa maschile tagliata alla base del collo verosimilmente per l'inserimento in un'erma. Il volto largo, dalle guance lisce e tese, benché fortemente idealizzato, sembra presentare tratti individuali nella mascella forte e squadrata, conclusa dal mento prominente e come schiacciato nella veduta di profilo, nella bocca piccola, nel lieve doppio mento, nell'accentuato pomo d'Adamo. La fronte alta, divisa da una ruga in una parte inferiore molto sporgente ed in una superiore appena rientrante, è incorniciata dai folti capelli che, acconciati in corti riccioli, scendono sulle tempie e ombreggiano le guance con lunghe basette. Il capo è cinto da una massiccia corona di rade foglie, non identificabili a causa del pessimo stato di conservazione, le cui terminazioni si saldano sulla nuca con un nodo di Ercole; intorno alla corona, forse in origine ornata al centro de un medaglione, si avvolge a spirale una benda con estremità ricadenti ai lati del collo. La presenza del diadema, il pathos dell'espressione, concentrato negli occhi profondamente infossati, la tensione eroica che pervade i lineamenti e si manifesta nel leggero rialzarsi del capo, suggeriscono di riconoscere nel ritratto in esame un diadoco. La rigida frontalità della testa, priva della torsione caratteristica della maggioranza dei ritratti di Alessandro Magno e dei suoi successori, va, almeno in parte, attribuita alla riduzione ad erma del prototipo che doveva volgersi verso sinistra, come prova l'evidente asimmetria del volto e dei capelli. Nelle lunghe basette del nostro personaggio possiamo scorgere un richiamo all'iconografia di Alessandro Magno, il quale, con il suo viso rasato, ombreggiato solo la favoriti (cfr. D. MICHEL, Alexander als Vorbild für Pompeius, Caesar und Marcus Antonius, Coll. Latomus vol. XCIV, Bruxelles 1967, p. 24 s.), inaugurò una moda destinata a trovare largo seguito fra i dinasti ellenistici. L'associazione corona foliata-diadema va intesa come emblema di regalità: le fonti letterarie attestano, infatti, che la corona di alloro cinta da un diadema era considerata a Roma un'insegna regale, la cui derivazione dall'ambiente ellenistico è dimostrata dall'impiego del motivo in immagini monetali e plastiche di sovrani di quell'età. Come è noto, a partire da Alessandro Magno, si verifica nel mondo greco un processo di apoteosi del dinasta, che nel campo figurativo si esprime attraverso la ricezione di attributi propri della divinità: Ira questi la corona, a seconda del tipo di foglie, denota una elevazione del sovrano nella sfera dionisiaca o erculea. Nel nostro caso, benché l'impossibilità di stabilire la qualità delle foglie impedisca un giudizio sicuro, alcuni indizi orientano verso la figura di Eracle. Un inquadramento cronologico del nostro ritratto può scaturire dall'esame dello stile che chiaramente si ricollega ad esperienze del IV sec. a.C. nella predilezione per forme stringate ed ampie superfici avvolgenti una solida impalcatura ossea. Il modellato asciutto, essenziale; sobrio nel rendimento dei particolari, la tettonica elementare, la chiarezza volumetrica trovano confronto nel ritratto di Demetrio Poliorcete del Museo Nazionale di Napoli (RICHTER, Portraité. III, p. 256, figg. 1741-1742), in un ritratto del Museo Profano Lateranense, anch'esso identificato con Demetrio Poliorcete (inv. n. 10312: ABr 351-352; HELBIG, n. 1086; H. v. Heintze), nel cd. Pirro di Napoli (RICHTER, Portraits, III, p. 258, figg. 1762-1763): opere che si scaglionano fra il 300 e 11 280 a.C. A questo stesso momento può ricondursi l'originale della nostra testa. La copia, molto sommaria nel rendimento dei capelli sul retro, si caratterizza per il ricercato contrasto fra la luminosità dei piani del volto, tesi e levigati, e il vivace colorismo della chioma, i cui corti riccioli sono separati da profondi solchi di trapano, secondo modi formali tipici dell'età adrianea e della prima età antonina

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