Monastero di San Venerio - Isola del Tino (strutture per il culto complesso monastico)

Portovenere, ca V-VI - ca XIV

Sebbene sia attendibile una frequentazione dell’isola in età romana, attestata da sporadici materiali ceramici e numismatici recuperati nel corso di scavi e ricognizioni di superficie, le evidenze strutturali sopravvissute si riferiscono al complesso religioso di S. Venerio, originato dalla sepoltura venerata del santo e forse già esistente come piccolo nucleo monastico altomedievale attorno al primitivo edificio di culto. A seguito delle prime ricerche condotte tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo in relazione a interventi di restauro, le campagne di scavo eseguite negli anni 1983-1987 hanno permesso di delineare le principali fasi edilizie del complesso ecclesiastico. Il primo impianto è riferibile a un piccolo edificio di culto, del quale si conserva una porzione dell’abside circolare, databile, sulla base dei materiali ceramici rinvenuti nella fossa di fondazione, al primo Altomedioevo, in accordo con quanto suggerito dalla tecnica costruttiva, che denota una posa in opera che tende alla regolarità dei corsi, con blocchetti di calcare ritoccati a spacco e inzeppatura di laterizi tardo-romani di recupero. In una fase successiva, inquadrabile tra i secoli IX e X, si assiste all’ampliamento della chiesa, con il raddoppio delle absidi, dando luogo a un organismo binavato e biabsidato. Nell’area adiacente si trovava una superficie recintata, da interpretarsi come spazio correlato alle funzioni cultuali della chiesa preromanica. L’impianto del monastero benedettino, con l’annessa chiesa romanica dedicata a S. Maria e S, Venerio, si data attorno alla metà del secolo XI, in accordo con le prime attestazioni documentarie. Il nuovo edificio di culto, sovrapposto alla chiesetta preromanica, presenta una sola navata ed evidenzia almeno due distinte fasi costruttive e vari rimaneggiamenti, fino a epoca piuttosto recente. Alla prima fase appartiene il portale visibile all’interno, con disposizione radiale dei conci, e le murature realizzate in bozzette di calcare apparecchiate secondo una tessitura a corsi regolari. All’interno della navata sono visibili due fasci di tre pilastrini che suggeriscono come l’edificio, allo stadio progettuale, prevedesse una ripartizione in varie campate mediante archi trasversali e volte a crociera, soluzione tecnica poi abbandonata in fase di realizzazione. Ad una fase edilizia successiva, forse risalente al XII secolo, è riferibile il rifacimento del portale visibile in facciata e il restringimento della soprastante presa di luce. Anche sul fianco meridionale della chiesa era stata addossata una seconda struttura muraria, visibile in prese fotografiche del 1923, sulla base delle quali è possibile ritenere che gli archi a pieno centro, appoggiati al muro perimetrale, s’impostassero sulle volte del chiostro sottostante e avessero la funzione di sostenere il coronamento della chiesa, con cornice marcapiano e mensoline aggettanti, analoga a quella del piano superiore del monastero. Dell’impianto monastico, pesantemente danneggiato dai bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale, si conservano in particolare le murature interne del refettorio, in gran parte ricostruito con gli interventi di restauro del 1952, e il chiostro, che costituisce il settore maggiormente conservato. La costruzione del chiostro è databile entro la fine del secolo XI, in una fase di poco posteriore all’edificazione dell’edificio monastico e della chiesa. La galleria si affaccia sul cortile con archi a tutto sesto e doppia ghiera, con alternanza di pilastri e colonnine in marmo romano di reimpiego. La decorazione architettonica dell’ala occidentale è costituita dai consueti archetti pensili con mensoline aggettanti, caratteristici del romanico lombardo, mentre la tecnica muraria non sembra distaccarsi particolarmente da quella della chiesa romanica. Di particolare interesse risulta l’unico capitello del chiostro ancora in situ, pertinente a un pilastrino angolare in marmo bianco di Carrara, con semicolonna addossata. Vi sono raffigurati motivi vegetali e un leoncino passante, con la coda attorcigliata fra le zampe e il corpo, desinente in un elemento vegetale stilizzato. Si tratta di motivi decorativi che ricorrono nel protoromanico genovese e di cui si individua un significativo esempio anche nella chiesa di S. Pietro di Portovenere, dove il loggiato conserva un capitello con analoga decorazione floreale e dove sono ugualmente presenti colonnine romane di spoglio. L’ala sud del chiostro presenta, a differenza dell’altra, una decorazione architettonica ad archetti intrecciati che sembra riferibile a successivi interventi di modifica, da collocare presumibilmente nel corso del secolo XII e da porre in relazione all’influsso dell’architettura islamica. Tra XII e XIII secolo, nel periodo della massima importanza del complesso monastico di S. Venerio, sono, del resto, documentate nuove attività costruttive, quali i già ricordati interventi sulla facciata e la fondazione delle tombe adiacenti al monastero, tra cui l’arcosolio attribuito a Ranieri di Parlascio, giureconsulto pisano. Nel corso del Trecento il monastero del Tino inizia la sua parabola discendente, subendo attacchi militari e saccheggi, con conseguente abbandono della chiesa romanica. Nel 1432 papa Eugenio IV, nel tentativo di rivitalizzare il cenobio lo unì al monastero di Nostra Signora delle Grazie al Varignano, affidandolo ai monaci Olivetani. Questi ultimi, prendendone possesso, costruirono sull’isola una piccola cappella, ma già intorno al 1470 si ritirarono alle Grazie, lasciando al Tino solo pochi guardiani

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