Complesso di culto e residenziale di CAPO DON (sito pluristratificato)

Riva Ligure, ca I secolo a.C - ca VI sec. d.C

Durante i primi anni del 1800 il Canonico Vincenzo Lotti, a seguito di lavori d'ampliamento della "Strada della Cornice" in una corposa relazione (dattiloscritta, di cui una copia è conservata nella Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia) riportò la notizia del rinvenimento di resti di strutture murarie e reperti antichi andati in gran parte poi dispersi. Lotti, pur attribuendone parte a qualche struttura monastica, fece in particolare cenno ai resti di una grossa struttura romana. Egli annoverò tombe e scheletri di cui uno con una moneta in bocca, alcuni scheletri di inumati con presso il volto vasi di creta di forma diversa, vari lumi sepolcrali e vasi lacrimali ed uno che definì "Lume da mano, o cucina" recante l'incisione mutila IBIAN, ed ancora un'anfora ed un vaso di vetro; quindi presso un altro scheletro quello che ritenne un amuleto e di cui fornì il disegno; quindi una lampada verosimilmente romana con l'incisione FORTIS e con una bizzara figurazione antropomorfica. Individuò poi una moneta di Licinio, un acquedotto, una cisterna, l'inizio di una scala e parte di una finestra e, tra le altre cose, una stanzetta che doveva esser stata affrescata: procedendo nelle investigazioni su uno spazio alquanto esteso il Lotti scrisse del rinvenimento di altri due scheletri; "proseguendosi nei lavori si rinvenne un'altra tomba con uno scheletro ed al suo lato una chiave e quindi non lungi da questa, sepolti nella nuda terra, cinque altri resti umani". Come si legge a fine pagina si scoprì quindi un frammento di laterizio romano recante la marca o bollo PCOEPISII. Successivamente rinvenne un vaso con coperchio contenente le ossa di un bambino e non lontano un "cippo" con quelle di un adulto e quindi una sorta di nicchia con molte ossa; un tumulo decisamente più sofisticato contenente uno scheletro senza teschio con le braccia distese lungo il corpo con accanto quella che l'osservatore definì una "pignatta", rimandando il tutto all'epoca romana. Nel paragrafo 43 della sua relazione il Canonico si sofferma sulla descrizione di minuterie ritrovate, tra cui svariati pezzi di vetro ed un emisfero di ambra grosso come un "uovo di piccione". il Lotti elencò inoltre una gran quantità di monete romane che coprono un vasto arco cronologico e che fanno pensare che, in questa zona, dovesse essere esistita una struttura insediativa non solo importante ma abitata e frequentata per lungo tempo: "1- Moneta consolare con la scritta Roma Invicta. Sul retro la Lupa che allatta i due gemelli Romolo e Remo (datata intorno al 160 a.C.). 2-Moneta di bronzo di Augusto, la coniatura dovrebbe collocarsi a pochi anni prima dell'era cristiana in quanto richiama la Tribunicia Potestas consolidata ad Augusto nel 23 a.C. 3-Medaglia di bronzo di Vespasiano...riporta da un lato la testa dell'imperatore con le abbreviazioni Caes. Vespasian. Aug. P.M.P.R.- PPP (Vespasianus Augustus Pontifex Maximus Pater Patriae Consul III). Sul rovescio della medaglia è raffigurato un personaggio che con la destra rialza da terra una matrona romana genuflessa, con a fianco un guerriero che aiuta la matrona a rialzarsi. Nel giro della moneta la scritta Roma Resurgens. 4-Medaglia di Tiberio Claudio con la scritta Tiberius Claudius Caesar P. M. Trib. Potestatis Imperator. Sul rovescio la Libertà che con le mani sostiene una fascia sulla quale appare la scritta Liberta Augustus. 5- Medaglia di Antonino Pio in bronzo, da una parte riporta la testa dell'imperatore con la solita dicitura, dall'altra parte un'aquila nella posizione di prendere il volo. 6 - Medaglia di Probo in bronzo mediocremente conservata, riporta la testa dell'imperatore e la leggenda abbreviata Caius Pius Felix Imperator. Sul retro un genio che con una mano regge un mazzo di spighe e dall'altra un tralcio di vite. 7- Alcune monete di Costantino riportanti simboli pagani che dimostrano che la coniatura sia stata fatta prima della conversione". Seguirono indagini a Capo Don tra il 1920-1923; nel 1937 Nino Lamboglia eseguì scavi stratigrafici a seguito dei quali è emersa la basilica paleocristiana databile al VI secolo con pianta a tre navate absidate e con al centro un fonte battesimale ottagonale. Dalla fine VI secolo le navate laterali furono impiegate per realizzarvi un sepolcreto (gli scavi sono stati concentrati su quella di sinistra che ha dato tombe a cappuccina mentre quella di destra, distrutta nell''800 per il passaggio della via Aurelia, è deducibile dalla relazione fatta dal Canonico Lotti nella sua ispezione a quei lavori ottocenteschi sull'area di Capo Don). Nell'area della basilica si sono concentrati ulteriori scavi a partire dal 1982 fino ad oggi principalmente in concessione al Pontificio Istituto di Archeologia. Le strutture murarie rinvenute negli anni 2000 dalla Soprintendenza Archeologica della Liguria all'angolo fra la S.S. 1 Aurelia e via Bartumelin sembrano essere riferibili ad una villa romana. La presenza di canalizzazioni e dei resti di una vasca foderata di intonaco e cocciopesto potrebbero essere messi in relazione ad attività di tipo agricolo, ma non si può escludere che costituissero un complesso termale. E' probabilmente connnessa con la viabilità primaria (via Iulia Augusta), rispetto alla quale potrebbe avere svolto anche la funzione di stazione stradale. Viene quindi corroborata l'ipotesi che l'area in esame, occupata poco più a nordest dalla basilica paleocristiana, sia da identificare con il toponimo di Costa Balenae (o Bellenae), riportato dalle fonti itinerarie antiche, quali l'Itinerarium Antonini o la Tabula Peutingeriana. L'area rivestiva un particolare interesse, dato che era probabilmente connessa ad un approdo fluviale collocato alla foce del torrente argentina

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