Il sogno dell'arabo
arazzo
1876 - 1881
Prinotti Giuseppe (1880/1910)
1880/1910
Bruni Dario (seconda Metà Secolo Xix/prima Metà Secolo Xx)
seconda metà secolo XIX/prima metà secolo XX
De Stefani Ferdinando (secolo Xix)
secolo XIX
formato rettangolare, finta cornice
- OGGETTO arazzo
-
MATERIA E TECNICA
filo di lana/ tessuto in alto liccio
-
ATTRIBUZIONI
Prinotti Giuseppe (1880/1910)
Bruni Dario (seconda Metà Secolo Xix/prima Metà Secolo Xx)
De Stefani Ferdinando (secolo Xix)
- LOCALIZZAZIONE Roma (RM)
- INDIRIZZO Europa, ITALIA, Lazio, RM, Roma, Roma (RM)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Il soggetto del parato è ripreso da un cartone di Cesare Biseo, uno tra i più noti pittori orientalisti italiani dell'Ottocento anche per la sua partecipazione alla prima missione diplomatica italiana in Marocco, di cui faceva parte anche il collega Stefano Ussi (1822 – 1901) e il più conosciuto Edmondo De Amicis (1846 – 1908). La vicenda è legata alle scelte che dopo il 1870 riguardarono l’Ospizio del San Michele: la Fabbrica degli arazzi infatti, era rimasta l’unica officina guidata direttamente dall’antica istituzione, oltre a essere l’unico laboratorio a produrli in Italia. A seguito degli eventi storici la struttura passò sotto la nuova amministrazione dello Stato Italiano (1870-1928) e venne istituita una Commissione apposita che si preoccupò di riorganizzare tutte le scuole e le officine d’Arte dell’ospizio. Il nuovo governo anziché creare una “Manifattura di Stato” sul modello della fabbrica francese dei Gobelins, preferì limitarsi a sole sovvenzioni, che in poco tempo portarono all’abbandono dell’opificio, sempre più privo di risorse finanziarie (le spese per il mantenimento dell’arazzeria gravavano in gran parte sui magri bilanci dell’Opera Pia che riceveva solo aiuti saltuari da parte del Comune e del nuovo Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio). Da non sottovalutare la gravosa situazione lavorativa degli arazzieri che prestavano servizio dalle 8 alle 14 ore al giorno. All’inizio degli anni ’80 venne incaricato delle nuove scelte dei lavori da riprodursi in arazzo, non più le copie dei celebri capolavori delle gallerie cittadine che avevano caratterizzato le indicazioni precedenti, il noto pittore di paesaggi Achille Vertunni (1826-1897). Questi ideò la decorazione di arazzi raffiguranti Le quattro parti del mondo, chiamando per i cartoni alcuni giovani artisti, fra cui appunto Cesare Biseo - gli altri erano Francesco Jacovacci (1838-1908) e Paolo Bartolini ( 1859-1930) - cui venne commissionato Il sogno dell’arabo. Si trattava di una tempera di notevoli dimensioni che ancora negli anni ’30 si conservava nell’ospizio del Michele, e che ora risulta dispersa, anche se dal 1987 risultava stata affidata al Ministero della Cultura nella sede del S. Michele. Il progetto di Vertunni si rivelò però troppo dispendioso e venne abbandonato e l’arazzo dell’arabo, pur iniziato nel 1876, venne interrotto per mancanza di fondi. La commissione decise però di ridurre le antiche dimensione, riproducendo solo la parte di sinistra decorata con una cornice in tessuto, come documenta Enrico Possenti in occasione dell’esposizione dell’arazzo nella mostra Roma nell’Ottocento. L’arazzo venne completato nel 1881 come risulta dal recentissimo restauro (2023) e fu certamente una delle migliori opere prodotte dalla manifattura. Vi lavorarono il direttore dell’opificio il piemontese Giuseppe Prinotti (1880-1910) (entrato nel San Michele nel 1856 e poi direttore tecnico dal 1880 fino alla morte, cfr N. Tarchiani, s.v. Arazzo, in Enciclopedia Italiana Treccani, 1929, on line) e i maestri arazzieri Dario Bruni e Ferdinando De Stefani. L’opera presentata all’Esposizione di Parigi del 1890, venne premiato con la medaglia d’oro a riprova dell’altissima qualità dei prodotti dell’opificio, esposte anche a mostre annuali e biennali ospitate negli stessi ambienti dell’antico Ospizio (nel 1923 alla Scuola dell’arazzo venne conferito il Gran Premio nella Prima mostra Romana dell’Industria, Agricoltura e dell’Arte Applicata). L’antica arazzeria del San Michele venne istituita nel 1710 da Clemente XI dopo l’apertura del Lanificio (1703) con lo scopo di avviare i giovani a un’educazione professionale che potesse permettere loro un futuro sostentamento. I ragazzi entravano nell’istituto tra i 7 e i 12 anni - anche da esterni - e dopo una prima formazione didattica impartita dai padri delle Scuole Pie, studiavano per due anni “disegno elementare”, poi a seconda delle loro abilità, erano indirizzati al corso di “disegno superiore” e alla pratica nei laboratori artistici fino al compimento dei 20 anni. In particolare per chi intraprendeva l’arte dell’arazzo, doveva dedicarsi nel primo anno allo studio dell’architettura, del disegno di figura e di ornato, nel secondo la prospettiva e il disegno da fotografie e da dipinti e nel terzo e ultimo anno, alla tecnica dell’acquerello di figure e di paesaggi e l’ornato. Il tessitore doveva dunque essere in grado di comprendere e conoscere sia il disegno di riferimento sia la qualità delle sue cromie, in modo da riprodurre, tramite leggere linee puntinate del disegno sull’ordito, le proporzioni e le armonie delle diverse zone di colore dal rovescio dell’arazzo. La fabbrica possedeva antichi telai, ad alto e basso liccio, che producevano tessuti in ‘grana’ molto fine e dalla fattura estremamente accurata, intrapresa nel corso degli anni a partire dal Settecento. L’opificio infatti venne costruito da Carlo Fontana su commissione di Clemente XI Albani (1700-21) e iniziò l’attività con i primi 4 telai. Primo direttore fu l’arazziere parigino Jean Simonet, cui seguirono dal 1717 circa e fino al ’70 Pietro Feroni, poi Giuseppe Folli fino al 1796 quando gli successe il nipote Gioacchino e infine Filippo Pericoli che mantenne la carica fino all’arrivo dei francesi (1798), che distrussero l’arazzeria perché in concorrenza con quella dei Gobelins. Dopo questa battuta d’arresto dal 1830 le sorti dell’istituzione risalirono grazie all’energico operato del cardinal Antonio Tosti che chiamò alla direzione Eraclito Gentili (1810-70). La Fabbrica sarà sempre protetta dai pontefici e operò con successo fino al 1870, limitandosi solo all'imitazione più che all'interpretazione di pitture famose, anche con l'ultimo direttore, Pietro Gentili (1844-1918) figlio di Eraclito, autore di varie pubblicazioni sull'arazzo e nominato poi direttore della nuova Arazzeria vaticana. La fabbrica di S. Michele proseguì sotto il nuovo governo italiano e soprattutto durante la direzione del ricordato Giuseppe Prinotti, produsse arazzi di grande qualità, fra cui quello con l'Apoteosi di casa Savoia, distrutto nell'incendio dell'Esposizione Internazionale di Milano del 1906, vent’anni prima del taglio dell’ultimo arazzo con L’Eucarestia, degli ultimi arazzieri Aristide Capanna (1887-1977) e Francesco Corsi prima del trasferimento nella sede di Tor Marancia (1926). l'arazzo è ricordato negli inventari della collezione: 1958/62, n.41; 1997, n.2C
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
-
CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico non territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1201389439
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Roma
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Roma
- ISCRIZIONI nel margine laterale - 1881 - G.Prinotti - numeri arabi -
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0