Feste, fiere e tradizioni rurali a Tricase

XXI

Salvatore Sergi racconta di alcune festività rurali che si svolgevano in masseria, tra cui la Cuccagna. Ogni anno si teneva in una masseria diversa ed era un momento aggregativo di un determinato rione. Racconta anche delle fiere agricole di Tricase un tempo molto sentite e partecipate: la fiera di Santa Lucia il 13 Dicembre, la fiera della Madonna del Gonfalone il 22 Agosto, la fiera della Madonna del Loreto e infine quella della “Chiesa nova” vicino alla Chiesa dei Diavoli. Infine si sofferma anche sulla tradizione della “focaredda”, ovvero l’accensione di una grande catasta di legna in Piazza dei Caduti a Tricase, durante la Vigilia di Natale. Ecco la sua testimonianza: «Le feste era la Cuccagna che l’ultima che ho visto, che mi veniva proprio voglia di andare a tagliare il tronco… Prima la Cuccagna era un palo alto 5-6 metri, dovevi salire sopra, quando l’hanno fatta qua a Tutino, al Castello di Tutino, squadre a 4-5 persone, allora si mettevano uno sull’altro e già arrivi a 8 metri. Invece prima, la Cuccagna che si faceva una volta, i giovani per farsi vedere che erano forti che c’erano le signorine, si riempivano il petto di terra, si abbracciavano al palo, con la terra strofinavano il palo – perché veniva insaponato con le ficarigne, con le pale di ficarigne e quello è come il sapone, si scivola facilmente – allora terra al palo… qualcuno ci arrivava. Ma era uno spettacolo. Era l’unica festa, come devo dire, territoriale. Quindi una massaria con l’altra si riunivano, 3-4 masserie, e si faceva un po’ di festa. Festa?! Chiamiamola: un pezzo di pane di più, qualche mezzo bicchiere di vino di più… Nelle masserie, no? si mettevano d’accordo tra loro: osci la facimu alla masseria tua? Prossimo anno… Fiere c’era Santa Lucia, u Confalune, prima u Confalune era na fiera grandissima, ma grande davvero, adesso è morta. Loreto, Madonna del Loreto anche, erano più piccole, però la centrale era allu Confalune. Là si andava….. c’avevi un cavallo col traino? Io c’avevo lo stesso? Allora si mettevano a gara a chi era più forte il cavallo. Allora giovani che allora la salute c’era, si mettevano le ruote contro girare e il cavallo che doveva tirarlo, a chi riusciva a tirare di più, c’era un bicchiere di vino di più, ma era una fiera sentita davvero. Dopo San Donato, Santo Rocco, vanìa u Confalune, vanìa. Anche Santa Lucia era anche na piccola bella fiera, però ripeto la gente andava al Confalune. A fera della Madonna du Loreto me la ricordo benissimo, a parte che è spaziosa, sia per le macchine che per gli animali, è anche fuori dal comune e non dà fastidio a nessuno. Adesso ci abita uno però negli anni ’90 è andato ad abitare. Allora non ci abitava nessuno quindi era come u Confalune. Perché era enorme? Perché era isolato, non dava fastidio a nessuno, erano tutti… a chi più… a ci chiù scia. Ogni anno fanno una piccola festicciola, prima era più sentita, adesso la stanno, quest’anno c’è stato un piccolo complesso a suonare cioè era una festa, allora, di quelle campagne nei dintorni. Però ormai oggi con le macchine, con i motori, non hanno più bisogno; prima invece si andava là, parcheggiavi, con la moglie, con i bambini, con una manciata di noccioline e tu andavi con gli amici a bere vino o a giocare a carte. Era un ritrovo annule. Che c’è? O Loreto, la Madonna del Loreto, quale c’è altra? Vabbè la chiesa dei Diavoli si sa, no? Quella come devo dire è una cosa di fantasia, è impossibile che viene costruita in una notte come si dice, na cosa proprio irrealizzabile. Il fatto dei diavoli, possono avere le corna, possono avere la coda, però in dodici ore non riesci a fare una chiesa. Almeno, parer mio, è impossibile. Si dice anche che hanno trovato un tesoro, hanno trovato, ma! Vedere per credere però. Io non l’ho visto. (…) Qua allu consorziu, la notte di Natale si faceva la focara e sai quante liame abbiamo rotte le porte? Per rubare la legna per fare… a Tricase ne facevano parecchie focaredde, però la più grande era questa. Qua sulla chiazza dei caduti. Ma immensa era, però ripeto, eravamo una ventina di giovani: “Ma dai? Dici no? Allora la scascio”… T’avvisavano che scasciava la porta. Quindi o lasci aperto o la scascio. Che prima si facevano queste fascine e si lasciavano dentro per non farle passa nu fessa e se le pìa. Era una tradizione rione per rione, e la più grande era quella di Tricase che poi quel fuoco non andava perso, tutti i vicinanti, u scarfalettu sai ci ge? U scarfalettu è una pentola, na pentola piccola così con un manico lungo che veniva pieno di brace e scarfavi u lettu, prima cu se curcava u maritu ad esempio, no? o i vagnoni… Pronti con i cosi in mano, scarfavi u letto, na pronto, sai! Ecco perché si chiama scarfaletto. E allora venivano: “Eh, nu picchi de focu”, “offerta!” Cinque, deci lire, però non andava in tasca nostra, alla chiesa li portavane, quindi anche se si rubava legna non era per interesse proprio e quando vanivane cu lu bracere: “Nà, sordi no ne tegno” “Piatelo e va bbanne”. Noi con la paletta… Qua pure era enorme, buttata alla buona, si accendeva la sera alle 8, le 9 fino tutta la notte di Natale ardiva. “Allora venite, meh!” “Non ne tegno fuoco… Ardà ce beddhu!” “E pitelu!” Venivano già con la paletta, immagina… Incredibile ma è vero.»

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